L’idea di divorziare dall’Unione Europea sta facendo sempre meno presa sui paesi del continente. Lo rileva un’ indagine (European Social Survey) che dal 2001 la City University di Londra ha condotto ogni due anni tra gli abitanti di 30 nazioni europee, che si dicono sempre meno favorevoli all’idea di uscire dalla Ue. I dati esprimono molto probabilmente una graduale presa di coscienza di cosa voglia dire abbandonare l’Unione Europa, guardando dalla finestra le vicissitudini del divorzio con il Regno Unito. Nel periodo tra il 2016 e il 2022 il supporto al leave ha perso 9.5 punti in Olanda, 9 punti in Italia e Portogallo e ha avuto un declino di 5.8 punti in Ungheria, 4.6 in Spagna e Svezia, 2.6 in Germania. Non a caso il lasso temporale corrisponde alle difficili negoziazioni tra Bruxelles e Londra, la caduta di cinque inquilini di Downing Street ed il conseguente scivolone economico e sociale che sta ancora stringendo i britannici nella morsa di scioperi, impennata dell’inflazione e instabilità economica. Ma secondo gli esperti londinesi anche la pandemia e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sono stati un impulso ad apprezzare maggiormente lo status di membri dell’Unione Europea. In tal senso, i dati mostrano che nel nostro paese l’attaccamento emotivo all’Europa è cresciuto di 7 punti, dal 37,2% al 44,3% , mentre in Francia dal 44% al 49%.

Adesso si chiama ‘B’ – Intanto in patria, i britannici hanno forgiato il termine ‘B word’, per evitare di menzionare una parola, Brexit, che suscita fastidio, rabbia ed un senso di rimorso sempre meno velato. “In una proporzione di due a uno le persone dicono che la Brexit ha peggiorato le condizioni di vita” dice, con i numeri alla mano, il re dei sondaggi britannico Ben Page, CEO di Ipsos. “È chiaro che la gente vede negativamente la Brexit ma non c’è ancora una richiesta spontanea di un altro referendum che potrebbe addirittura richiedere un ricambio generazionale – dice Page – perché c’è ancora un vasto gruppo di persone che sono convinte che uscire dalla Ue sia stata la cosa giusta, molti vogliono solo buttarsi la questione dietro le spalle. Non siamo ancora arrivati ad ammettere a noi stessi stessi, come nazione, che la Brexit sia stata una cattiva idea, anche quando, se lo si chiede alle persone, la maggioranza pensa che stia andando male e peggiori la qualità della vita. Una conclusione che sembra confermata anche dalle analisi economiche indipendenti”. Londra e Bruxelles sono di nuovo al tavolo dei negoziati per sciogliere il nodo dei traffici commerciali in Irlanda del Nord, che dal 2016 continua a restare irrisolto, nonostante il Protocollo siglato da tutti. Gli unionisti stanno facendo ostruzionismo politico, bloccando la formazione dell’esecutivo devoluto di Stormont finché il protocollo non sarà modificato e l’Irlanda del Nord sarà rientrata nel mercato interno della Gran Bretagna. I nazionalisti pro europeisti di Sinn Fein sono pronti ad un referendum per riunificare l’isola di Irlanda per rientrare nel mercato comunitario.

Quali sono le prospettive concrete che il Regno Unito si spacchi in caso di referendum? – Il CEO di Ipsos spiega a ilfattoquotidiano.it che stando ai loro sondaggi di dicembre, mentre a Dublino la proporzione di chi vuole riunificare l’isola d’Irlanda è di 4 a 1, a Belfast la metà degli abitanti vorrebbe restare in UK, solo il 27 % è per uno stato irlandese unito, con un 25% di indecisi. In Gran Bretagna invece solo il 18% delle persone vorrebbe che l’Irlanda del nord abbandonasse Londra per ritornare a far parte della repubblica d’Irlanda, ma la questione non tocca troppo la maggioranza del pubblico. “Se guardiamo alla Scozia invece oltre la metà adesso voterebbe per lasciare il Regno Unito – spiega Page – Nel 2014 abbiamo avuto un referendum finito con il 45% per il leave e il 55% per restare nel regno. Facevamo sondaggi quasi ogni giorno e i pareri dell’opinione pubblica cambiavano drammaticamente durante il corso della campagna referendaria. Oggi in Scozia (che ha votato in maggioranza per non lasciare la UE) i pro indipendentisti sono all 56% – conclude Page – Questo dato non vuol dire che la Brexit al momento stia portando alla disgregazione del Regno Unito ma sicuramente mette pressione nelle relazioni tra le quattro nazioni che lo compongono.

Make Brexit Done – Ad essere divisi sono anche i laburisti, in corsa per rimpiazzare i tory a Downing street e mettere fine a 12 anni di governo conservatore. Mentre il leader del partito Keir Starmer ha preso il ‘Get Brexit Done’ di Boris Johnson e l’ha sostituito con il motto ‘Make Brexit Work’ (facciamo funzionare la Brexit), nella cosmopolita Londra, in stragrande maggioranza pro ‘remain’, il sindaco Sadiq Khan ha rotto le esitazioni rilanciando l’idea di avere un dibattito pragmatico sull’Europa suggerendo l’idea di rientrare nel mercato unico. “I politici non possono restare in silenzio davanti agli immensi danni che sta facendo la Brexit – è il discorso del sindaco anticipato sulle pagine del Guardian – serve un maggior allineamento con i nostri vicini europei, uno spostamento da questa hard Brexit estrema, ad una versione che serva la nostra economia ed il nostro popolo”.

Regno Unito e Unione Europea possono riavvicinarsi? – San Valentino potrebbe portare un nuovo accordo del compromesso tra UK e EU, spinte dalla crisi dell’economia globale. Sulla bilancia politica peseranno le concessioni che entrambe le parti sono disposte a fare per mettere fine ai grattacapi. “Con Rishi Sunak abbiamo un governo molto meno rigido rispetto a quello di Boris Johnson. La sfida per il governo britannico è che Boris Johnson aveva già detto al pubblico di aver aggiustato la Brexit, negando di aver concordato quella che di fatto è una frontiera commerciale nel mare d’Irlanda invece che tra le due Irlande. Al momento però sembra che da entrambe le parti ci sia più volontà di raggiungere un compromesso” spiega Ben Page che però lascia intendere che le prospettive di un possibile referendum per rientrare nella UE siano piuttosto aleatorie: “Più che della Brexit i britannici sono preoccupati dello stato dell’economia, inflazione e sanità. Solo 1 su 10 pensa che Brexit e il rientro nel mercato unico europeo siano tra le sfide per il paese. La Brexit ientra appena appena nella top 10 dei problemi percepiti dai britannici che danno molta più importanza a questioni come i cambiamenti climatici e la povertà. Le analisi economiche degli esperti confermano che la Brexit stia abbassando il PIL ma molti britannici guardano ad altri fattori come la guerra in Ucraina e lo stato globale dell’economia piuttosto che alla Brexit di per sé. Finché le persone non capiranno le ricadute della disconnessione dal nostro mercato storicamente più grande è difficile che l’opinione pubblica possa muoversi in modo deciso in direzione di un altro referendum”.

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