Con il decreto Aiuti Ter, decreto legge 144/2022, all’articolo 25 si è fornito un corposo sostegno a privati che mettono a disposizioni alloggi per studenti fuorisede. Tanto per capire di cosa parliamo: in Italia sono 450-500.000 gli studenti fuorisede, gli studentati pubblici offrono circa 37.000 posti letto, la restante parte degli studenti si deve arrangiare attraverso le forche caudine di offerte da privati spesso condite da affitti in nero, contratti di locazione capestro, affitti esosi e insostenibili.
Cosa prevede l’articolo 25 del decreto legge 144/2022 dal titolo accattivante “Nuove misure di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza in materia di alloggi e residenze per studenti universitari”?
Si inserisce un articolo 1 bis, alla legge 14 novembre 2000, n. 338, dal titolo ancora più accattivante “Nuovo Housing Universitario”. E viene subito da pensare: “Bene, finalmente in Italia un piano strutturale per residenze universitarie pubbliche a costi contenuti, che garantiscano la possibilità di studiare garantendo uno dei sostegni principali: l’alloggio, come da anni chiedono gli studenti di Link o sindacati come Unione Inquilini”.
La realtà è ben diversa: infatti il nuovo housing universitario presentato dal Governo Draghi ma portato ad approvazione dal Governo Meloni è un mega regalo da ben 660 milioni di euro a privati.
Andiamo nel dettaglio: le risorse sono quelle previste dalla riforma 1.7 della missione 4, componente 1, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per un importo come detto pari a 660 milioni di euro, fino al 2026, destinate all’acquisizione della disponibilità di nuovi posti letto presso alloggi o residenze per studenti. I 660 milioni di euro saranno assegnati, attraverso convenzioni ovvero in partenariato tra le università, e gli enti regionali per il diritto allo studio, con imprese, e operatori economici. Le risorse assegnate sono destinate al pagamento del corrispettivo, o parte di esso, dovuto per il godimento dei posti letto resi disponibili ai sensi del presente articolo presso alloggi o residenze per i primi tre anni dalla effettiva fruibilità degli stessi.
I soggetti aggiudicatari, ovvero imprese o operatori economici, assicurano la destinazione d’uso prevalente degli immobili utilizzati per le finalità ad alloggio o residenza per studenti con possibilità di destinazione ad altre finalità, anche a titolo oneroso, delle parti della struttura eventualmente non utilizzate, ovvero degli stessi alloggi o residenze in relazione ai periodi non correlati allo svolgimento delle attività didattiche.
Insomma alberghi – i cosiddetti “Student Hotel” – dove uno studente fuorisede deve soggiornare contemporaneamente alle attività didattiche, poi lo studente se ne torna al luogo di residenza e quelle residenze possono diventare b&b tanto per semplificare. Insomma, se lo occupa lo studente paghiamo noi, a debito con le risorse Pnrr – che sono debito, ricordiamolo. Se non lo usa lo studente che viene mandato via dalla città sede universitaria, il posto lo occupa il fiorente e remunerativo mercato delle locazioni turistiche.
Secondo questo housing universitario, i posti letto offerti da privati saranno destinati agli studenti fuorisede individuati sulla base delle graduatorie del diritto allo studio, oppure di quelle di merito, quest’ultimo un concetto molto caro alle destre.
Ma c’è di più: ai generosi benefattori privati non volevi dare un incentivo? Eccolo, infatti la disposizione legislativa prevede che con decorrenza dall’anno di imposta 2024, il corrispettivo dovuto per il godimento dei posti letto resi disponibili presso alloggi o residenze per i primi tre anni dalla effettiva fruibilità degli stessi non concorrono alla formazione del reddito ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e dell’imposta sul reddito delle società. Inoltre redditi derivanti dalla messa a disposizione di posti letto presso alloggi o residenze per studenti universitari non concorrono alla formazione del reddito ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, nella misura del 40 per cento. Spetta ai privati, infine, un contributo, sotto forma di credito d’imposta utilizzabile esclusivamente in compensazione, fino a un importo massimo pari all’Imu degli immobili destinati ad alloggi/residenze per studenti universitari. Una vera cuccagna.
Riepilogando: i 660 milioni di euro del Pnrr non sono destinati a Università e Comuni per realizzare, magari recuperando patrimonio immobiliare pubblico e/o privato, residenze universitarie pubbliche che restino proprietà pubblica e garantiscano strutturalmente residenze universitarie a basso costo. I 660 milioni di euro sono destinati a convenzioni che le università o gli enti per il diritto allo studio devono stipulare con imprese e operatori economici per avere a disposizioni posti letto pagati profumatamente e a tempo determinato, fino al 2026 e per il solo periodo nel quale si svolgono attività didattiche.
Insomma ci accolliamo un debito non per un intervento pubblico strutturale del quale beneficeranno università pubbliche o comuni, ma per “regalare” 660 milioni di euro a privati per residenze temporanee e sui quali avranno anche incentivi fiscali notevoli. Dopo il 2026 queste convenzioni che fine fanno? La Commissione Europea autorizzerà un tale sperpero di risorse per un periodo limitato?