A- Seguaci di Bolsonaro hanno assaltato le sedi delle istituzioni brasiliane.
B- Attivisti di Ultima generazione hanno imbrattato la facciata del Senato e bloccato varie strade.
C- Felicetta Maltese e Chiara Lalli hanno accompagnato Massimiliano a morire in Svizzera.
Le tre azioni hanno in comune la violazione di leggi. Ma solo B e C possono essere definite “disobbedienze civili”, in quanto sono:
– nonviolente (B arreca qualche danno, a mio avviso non definibile come violenza);
– responsabili (i protagonisti si assumono pubblicamente la responsabilità dei propri gesti);
– non eversive (hanno l’obiettivo di riformare o affermare regole, non di negarne il valore).
Ciò non significa di per sé che quelli di A abbiano torto e B e C ragione. Disobbedire civilmente è diverso da attentare con la violenza alla legalità istituzionale, ma non implica automaticamente essere nel giusto. Si può ritenere che l’emergenza climatica richieda risposte diverse da quelle avanzate dagli ecologisti, o che le leggi sul fine vita vadano bene così. E si può anche ritenere un’ingiustizia che Lula sia tornato al potere.
Anche “attentare con la violenza” può essere considerato un atto moralmente ammissibile, persino doveroso per chi si ritiene liberale e democratico: pensiamo ai partigiani contro il nazifascismo o alle forme di resistenza anche armata alle più sanguinarie dittature. La disobbedienza civile, per poter essere efficace, ha bisogno di confrontarsi con un potere che non sia assoluto, di smascherarne le contraddizioni davanti a un’opinione pubblica informata e libera di dissentire. Ciò non sempre è possibile.
Dunque la disobbedienza civile non è una pagellina o un codice di condotta che garantisce la patente di buon democratico. È uno strumento, un’arma che si può usare per buone o cattive cause, dove il buono e il cattivo è valutato soggettivamente, cioè politicamente, da ciascuno. Si usa la disobbedienza civile per essere efficaci, non come passepartout per pretendersi moralmente superiori. Socrate, invece di disobbedire, scelse di morire pur di non andare contro la legge della sua città. Difficile considerare la sua scelta come moralmente inferiore.
Ogni azione merita una considerazione a sé, comparandola a un’altra soluzione possibile, ma soprattutto alla più frequente: l’inerzia.
A proposito di disobbedienza civile: grazie a Marco Perduca e Virginia Fiume, che, con Chiara e Felicetta, sono entrati a far parte dell’Associazione Soccorso Civile per le disobbedienze civili sul fine vita. Da registrare una nuova indicazione da parte di alcuni disobbedienti climatici radicali, quelli di Extinction Rebellion: “Quest’anno daremo priorità alla partecipazione più che agli arresti, alle relazioni più che ai blocchi stradali, in modo da restare uniti e diventare impossibili da ignorare”.