Alle elezioni regionali in Lombardia e Lazio non ci sarà il controllo sugli impresentabili, cioè i candidati con condanne o processi in corso per reati gravi. Il motivo? Semplice, il Parlamento non ha ancora trovato il tempo di varare la Commissione Antimafia, cioè quella che è compente a fare lo screen delle liste. Una vera fortuna per gli aspiranti consiglieri regionali con problemi giudiziari. Un po’ meno per gli elettori, che senza il lavoro dell’Antimafia non hanno spesso gli strumenti per conoscere i precedenti dei candidati.
Il calendario – Ma d’altra parte non c’è un’alternativa. Colpa delle Camere che a quasi quattro mesi dalla data delle elezioni non hanno ancora approvato la legge istitutiva dell’organo che ha sede a palazzo San Macuto. Essendo una commissione d’inchiesta, infatti, l’Antimafia deve essere varata con apposita legge all’inizio di ogni legislatura. Dopo le polemiche delle scorse settimane, quella norma sarà votata dal Parlamento solo il prossimo 27 gennaio. Solo che il voto per le regionali è previsto per il 12 e 13 febbraio: di fatto, dunque, non ci saranno i tempi tecnici per poter effettuare il controllo sui candidati.
Come funziona l’iter – La via ordinaria della normativa, infatti, prevede che, a partire dal deposito delle liste, trenta giorni prima del voto, le Prefetture segnalino all’Antimafia i nomi dei candidati. Questa dovrebbe poi girare i “sospetti” alla Direzione nazionale Antimafia e poi, circa una settimana prima dell’appuntamento alle urne, la stessa Dna dovrebbe restituire alla Commissione un riscontro sui profili a rischio. Non sarà utile, a questo giro, il nuovo codice di autoregolamentazione sul controllo delle liste elettorali approvato ad agosto 2021: la riforma introduce un procedimento, facoltativo, che consente ai partiti di sottoporre al controllo preventivo della Commissione le liste elettorali anche 60 giorni prima del voto. Ma si tratta appunto di un meccanismo facoltativo, non obbligatorio.
I 5 stelle chiedono di anticipare – L’incrocio tra l’avvio della legislatura e la nuova tornata elettorale con i tempi per la costituzione della Commissione, dunque, rendono praticamente impraticabile il vaglio dei candidati. “Oggettivamente siamo in ritardo”, ammette con l’agenzia Ansa il deputato d’Italia viva, Ettore Rosato. Protestano i 5 stelle: “I tempi non ci sono“, dicono i deputati che, in occasione della capigruppo, avevano chiesto un ulteriore anticipo, rispetto al 27 gennaio, del voto dell’Aula per l’istituzione della Commissione. I 5 stelle sono stati tra i pochi partiti ad aver presentato in Parlamento le proposte di legge per creare la commissione: sia alla Camera (depositata dall’ex procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho) che al Senato, dove oltre a quella dell’ex magistrato antimafia Roberto Scarpinato ci sono quelle di Franco Mirabelli e Walter Verini del Pd.
I precedenti – La prima commissione antimafia fu varata nel 1962 dopo l’input lanciato ben quattro anni prima da Ferruccio Parri. Da allora, ad ogni inizio di legislatura, il parlamento ha impiegato circa due mesi per nominare i deputati e i senatori chiamati a far parte della commissione che ha sede a Palazzo San Macuto, e quindi eleggerne il presidente. Unica eccezione la settima legislatura, quando tra il 1976 e il 1979 il Parlamento non riconfermò la commissione speciale: erano gli anni dei governi di Giulio Andreotti e dell’omicidio di Aldo Moro. Poi nel 2013 ci vollero sei mesi dall’insediamento del governo di Enrico Letta, ad aprile, all’elezione di Rosy Bindi come presidente di San Macuto, anche se la legge che istituiva la commissione era stata già approvata a giugno. Nel 2018 la commissione è stata varata ad agosto, a cinque mesi dalle elezioni ma a solo due dalla nascita governo gialloverde. Stavolta dalla nascita del governo Meloni sono passati quasi tre mesi ma la legge per creare la commissione non è ancora stata votata.
La riforma saltata – E dire che nella scorsa legislatura l’Antimafia aveva votato addirittura una riforma del codice che aumentava i filtri di controllo sui candidati. Per passare, però, quelle modificano avevano bisogno del parere delle Camere: un parere – ricorda il presidente di quella Commissione, l’ex 5 stelle Nicola Morra – mai arrivato né da Montecitorio né da palazzo Madama. Non solo è saltata la riforma che rafforzava i controlli sugli imprensentabili, ma al primo voto utile lo screening sulle liste non ci sarà.