Politica

Autonomia differenziata, mi sorprendo di chi si sorprende: così si rischia un Paese a più velocità

I lettori che seguono questo blog sanno che qui si parla di “autonomia differenziata” ormai da circa sei anni, almeno a partire dal referendum lombardo del 2017. Non è mai stato facile trattare un tema così delicato, nascosto in una locuzione alquanto criptica: di primo acchito, a un orecchio poco pratico, non risulta ben chiaro se il tema riguardi il diritto amministrativo o la raccolta dei rifiuti solidi urbani.

Molte persone in buona fede, a cui accennavo dell’iter incombente, facevano spallucce e rispondevano che un progetto simile non sarebbe passato mai. Oggi, con il tema su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali, la cosa che più sorprende è proprio la sorpresa affettata di chi, pur ricoprendo ruoli istituzionali al sud messo in guardia da tempi non sospetti, ha minimizzato e ignorato. Qualcuno, probabilmente, aveva pensato persino di accarezzare l’idea immaginando il vantaggio di poter gestire qualche altra delega o incarico assessorile.

Se oggi in tanti puntano il dito contro un progetto che viene ricondotto a un solo ministro dell’attuale governo, le intese tra regioni e governo sono invece più datate; e tra le regioni che si sono mosse con sorprendente tempestività c’è anche l’Emilia-Romagna governata dall’attuale candidato alla segreteria del Partito Democratico. Quindi, dov’è la sorpresa se i progetti iniziati vengono portati a compimento da chi è stato votato per farlo? Almeno al nord. Nondimeno, al sud – ma anche al nord – gli elettori del partito di maggioranza relativa potrebbero nutrire importanti riserve sugli effetti concreti di questo processo.

La classe dirigente meridionale è stata messa in guardia, scrivevo. Ad esempio, da due anni, la Rete Culturale Carta di Venosa, in tutto il sud, ha inviato a politici, sindaci, Presidenti di Regione e di Provincia, Parti Sociali un esplicito invito a deliberare formalmente sul progetto di autonomia differenziata. Una cospicua pattuglia di sindaci: Martano (Le) fu il primo comune, guidato da Fabio Tarantino, e persino due Province (Lecce e Benevento) hanno raccolto l’invito deliberando contro all’unanimità. Una presa di coscienza, ma soprattutto un atto formale, inedito, che lascia una traccia politica di rilievo. Tanti altri amministratori hanno preferito optare per la sorpresa dell’ultimo momento, stracciandosi le vesti sui media (o sui social) limitandosi a firmare qualche appello tardivo, quando i margini di azione si sono fatti più esigui.

A questo punto, il lettore potrebbe chiedersi: ma perché pensare che l’aumento delle competenze regionali (peraltro previsto dalla Carta Costituzionale, come riformata a seguito della svolta federalista del 2001) possa comportare dei problemi per il sud? Non si può aver la pretesa di dare una risposta certa, ma le considerazioni che seguono consentono di sollevare non pochi dubbi e spunti di riflessione.

Il nostro Paese ha superato il dramma della pandemia soltanto attraverso un concorso di sforzi organizzativi e finanziari che superassero le visioni localistiche, tenendo a cuore la salvaguardia degli interessi di tutti. Nei momenti critici, ci siamo accorti con rammarico del fatto che avere “venti sanità” diverse – frutto della riforma del Titolo V che definisce la tutela della salute materia di “legislazione concorrente” – ha comportato ritardi e storture organizzative che molti cittadini hanno pagato pesantemente. Ed è stato un bene avere la residua possibilità di intervento del ministero per coordinare il Paese di fronte a un’emergenza terribile. Possiamo domandarci cosa sarebbe accaduto se al fronte disarticolato – di cui tutti abbiamo memoria – non si fosse potuto porre rimedio con il coordinamento ministeriale nella fase di emergenza e di vaccinazione? Ecco, le regioni che propongono le autonomie differenziate hanno in mente di estendere le proprie competenze anche al tema della scuola.

È altresì legittimo chiedersi se e come, in assenza di una visione d’insieme, si potrà pensare di annullare il divario tra il Mezzogiorno e il resto del Paese limitandosi a ridurre – o rimodulare – i trasferimenti statali di risorse in favore di aree più ricche, rischiando di attenuare ulteriormente l’azione perequativa statale. Che oggi può agire in favore del sud, ma in altre contingenze potrebbe riguardare altre aree del territorio viste le molteplici fragilità che costantemente lo minacciano, da nord a sud.

Dalla Riforma del Titolo V in poi, il Mezzogiorno ha sofferto una sistematica esclusione dall’agenda politica. Secondo dati Svimez (Rapporto 2022), nel periodo 2007- 2021 gli investimenti industriali meridionali sono crollati, in termini reali, di quasi il 36% (-11% nel resto del Paese). Nel 2041 il Mezzogiorno perderà il 27% degli studenti universitari, il centro-nord circa il 20%. È in atto la desertificazione universitaria del sud, specialmente nelle sedi più piccole e periferiche. Negli ultimi vent’anni circa 1,2 milioni di giovani ha lasciato il Mezzogiorno. Uno su 4 è laureato.

Infine, i dati Banca d’Italia del 2021 sottolineano l’importanza della questione sud definendola una “questione nazionale”. Evidenziano, altresì, come il rapporto tra pil del Mezzogiorno e del centro-nord si sia vertiginosamente ridotto, in concomitanza con le varie tappe attuative del disimpegno nei riguardi del Mezzogiorno e della riforma federalista attraverso i vari decreti. Non si può asserire che vi sia un nesso univoco di causalità, ma le premesse lasciano perplessi rispetto all’ulteriore accelerazione verso l’autonomia delle regioni più ricche, senza prima aver dato alla riforma federalista sin qui attuata il tempo per manifestare i propri effetti nel medio-lungo termine. La cautela dovrebbe essere obbligatoria visti i valori in gioco.

In figura (dati Banca d’Italia, riportati da Fabrizio Balassone, nella Consultazione pubblica sud – Progetti per ripartire, 23 marzo 2021) si rileva un trend che mostra l’incremento del divario interno a partire dagli anni Novanta (fine dell’intervento straordinario), con particolare evidenza a partire dalla seconda decade del 2000. L’accelerazione di queste settimane sembrerebbe tradire una miopia territoriale rispetto agli interessi dell’intera comunità nazionale: infatti, se una minore dotazione di risorse in favore dello Stato potrà tradursi in una minore capacità di intervento perequativo verso le aree più svantaggiate (a sud e a nord) è legittimo temere per l’Unità sostanziale del Paese? Se già oggi sembra lontana l’attuazione dell’Articolo 3 della nostra Costituzione, che punta a offrire a tutti i cittadini e le cittadine d’Italia lo stesso livello sostanziale di diritti fondamentali, cosa accadrebbe con minori risorse per lo Stato centrale?

Piero Calamandrei scriveva che: “se vera democrazia può aversi soltanto laddove ogni cittadino sia in grado di esplicare senza ostacoli la sua personalità per poter in questo modo contribuire attivamente alla vita della comunità, non basta assicurargli teoricamente le libertà politiche, ma bisogna metterlo in condizione di potersene praticamente servire. […] Il bisogno economico toglie al povero la possibilità pratica di valersi delle libertà politiche e della proclamata uguaglianza giuridica”.

I divari territoriali nel Paese esistono e persistono: tra nord e sud sono innegabili e gravi. Ma se alla proclamazione di diritti civili e politici continua a non fare da riscontro una concreta disponibilità e distribuzione di risorse su tutto il territorio nazionale, onde garantire a tutti i cittadini italiani la fruizione degli stessi diritti, in termini di sanità, istruzione, ricerca, infrastrutture, investimenti, innovazione, continueremo a costruire un Paese diviso, a più marce, più vulnerabile di fronte alle sfide complesse degli anni che verranno, in cui ai problemi tradizionali si aggiungeranno quelli derivanti dallo sconquasso ambientale del nostro pianeta.

Sarebbe paradossale che all’esortazione della Ue a ridurre gli spaventosi divari presenti nel Paese, l’Italia rispondesse con un bizzarro arroccamento delle aree più ricche. La Rete Culturale Carta di Venosa, attraverso una petizione lanciata sulla piattaforma Change.org, ha inteso invocare l’interessamento del Presidente della Repubblica, in qualità di garante della Costituzione, perché ogni futura iniziativa potenzialmente dettata da mero interesse localistico, non si traduca in un “disastro con ripercussioni su tutto il territorio nazionale” traendo il vivo auspicio “che gli attuali legislatori non vogliano passare alla storia come i “commissari liquidatori” dei nostri diritti costituzionali, coloro che intenderanno svuotare la sostanza del nostro disegno costituzionale”.

Una conferma dell’utilità di tale iniziativa proviene dalle parole pronunciate da due consiglieri regionali leghisti lucani che, in conferenza stampa, hanno dichiarato: “Vorremmo che venisse approfondito e spiegato bene ai cittadini perché devono iniziare a capire cos’è l’autonomia differenziata” apprezzando il lavoro divulgativo e capillare svolto dalla Carta di Venosa, anche attraverso la petizione lanciata nei giorni scorsi. Ecco il link per i cittadini che vogliano sottoscrivere la petizione predisposta dalla Carta di Venosa.