Azione legale sulla base di una legge del 2017, che impone alle aziende l’obbligo di vigilare sull’impatto ambientale e sui diritti umani nelle loro filiere produttive. La società ha "confutato con forza le accuse" sottolineando di aver ridotto il consumo di imballaggi monouso del 12% dal 2018
Tre associazioni in Francia hanno portato in tribunale Danone per l’inquinamento da plastica, grazie a una legge nazionale, unica nel suo genere, che impone alle aziende di ridurre il proprio impatto ambientale. Il colosso lattiero-caseario di Parigi è accusato “di non essere all’altezza dei suoi doveri” di contrasto alla crisi climatica: non ha ancora un “piano serio” per “eliminare gli imballaggi monouso”, spiega in un comunicato Rosa Pritchard, avvocato di ClientEarth, uno dei gruppi coinvolti insieme a Surfrider Europe e Zero Waste France. “Nonostante la chiara preoccupazione degli esperti di clima e salute e dei consumatori, e l’obbligo legale di affrontare il problema”, Danone consuma un peso pari a 74 volte quello della Torre Eiffel in bottigliette, vasetti di yogurt e altri contenitori.
La causa quindi vuole segnare una svolta nella lotta mondiale alla produzione di plastica, denunciando un’emergenza della quale non comprendiamo ancora tutti gli effetti. Secondo uno studio recente, nel 2015, il settore era responsabile del 4,5% delle emissioni globali di gas serra, una quantità superiore tutti gli aerei del mondo. La speranza degli attivisti è che a questa prima azione legale ne seguano altre, anche in altri Paesi, come l’Italia, che non hanno leggi come quella francese. L’ideale sarebbe spingere “gli organismi di controllo sia nazionali che europei a vigilare e a non consentire l’elusione del riciclo e del corretto smaltimento della plastica, soprattutto nelle situazioni nelle quali interviene la criminalità organizzata”, commenta la vicenda Veronica Dini, avvocato della Rete legalità per il Clima.
Quella contro Danone non è la prima azione legale contro una multinazionale. A livello globale il loro numero è raddoppiato (da 900 a 2mila) negli ultimi 5 anni, secondo il secondo i dati del Grantham Research Institute e del Sabin Center for Climate Change Law. Per citare in giudizio il colosso caseario però ClientEarth, Surfrider Europe e Zero Waste France hanno avuto un alleato in più: si sono potute appellare a una legge del 2017, considerata rivoluzionaria nel panorama europeo. È infatti la prima a richiedere alle grandi aziende di adottare misure efficaci per identificare e prevenire le violazioni dei diritti umani e i danni ambientali in tutta la loro catena produttiva. Era stata approvata dall’allora presidente Francois Holland, dopo il disastro del Rana Plaza: nel 2013 l’edificio che ospitava una fabbrica di abbigliamento in Bangladesh è crollato, uccidendo più di 1.100 persone. A fare scalpore allora era stato il ritrovamento, tra le macerie, di diverse etichette di marchi famosi. Lo scorso settembre, grazie alla legge, anche Nestlè, i supermercati Carrefour e altre otto grandi aziende alimentari, erano finite nel mirino degli attivisti.
La diffida delle associazioni era stata ritirata in seguito alla promessa di intensificare gli sforzi contro la crisi climatica. Da parte di tutte tranne Danone. Secondo i gruppi ambientalisti, il produttore caseario nel suo piano di vigilanza per il 2021 “tace completamente sulla plastica”. La richiesta al tribunale civile di Parigi è quindi di costringere l’azienda a rilasciare un nuovo piano entro sei mesi che includa l’eliminazione graduale della plastica. Se la società non rispetterà tale termine, le associazioni pretenderanno un risarcimento di 100mila euro per ogni giorno di ritardo. La società ha “confutato con forza le accuse”, tramite un portavoce. Ha affermato di aver ridotto il consumo di imballaggi monouso del 12% dal 2018 e di essere impegnata per potenziare il “riutilizzo, rafforzare i canali di raccolta e riciclaggio e sviluppare materiali alternativi” compostabili, da utilizzare in modo esclusivo entro il 2025. Ma Danone non è sulla buona strada per raggiungere questi obiettivi, secondo un rapporto della Ellen MacArthur Foundation, che collabora con le Nazioni Unite per ridurre l’inquinamento delle grandi aziende.
Una tesi confermata anche da un recente studio del movimento Break Free From Plastic: con 750mila tonnellate di materiale consumato nel 2021, la società rientra tra le prime dieci compagnie al mondo per inquinamento da plastica. Solo il 9% dei suoi vasetti, bottigliette e contenitori è stato riciclato, afferma una ricerca dell’Onu. Una quantità giudicata insufficiente dalle associazioni ambientaliste che hanno fatto causa. Finora sono state 15 le azioni legali che hanno sfruttato la norma sulla vigilanza francese. La metà è andata in tribunale, ma è ancora in attesa di giudizio. L’obbligo di vigilanza francese però ha fatto scuola in Europa e ha ispirato legislazioni simili in Germania e nei Paesi Bassi e una proposta di direttiva dell’Unione Europea. L’efficacia del provvedimento è ancora in dubbio: la maggior parte delle aziende, secondo diversi accademici, lo elude con dichiarazioni vaghe, molte delle quali già presenti nello statuto in precedenza. Però “in mancanza di legislazioni più incisive e di controlli da parte degli organi competenti, il ruolo delle aziende nella vigilanza della filiera diventa importante”, afferma Dini. Le cause legali quindi diventano un’arma fondamentale per colmare i vuoti normativi e contrastare emergenze ambientali, come quella dell’inquinamento da plastica.