Gli atti di denuncia sono eventi poco diffusi nelle grandi imprese ma assolutamente rari nelle piccole realtà imprenditoriali. Gli imprenditori chiedono coraggio ma premiano la codardia laddove l’audacia della segnalazione intacchi i (dis)valori di quella azienda.

Un capo-officina denuncia la corruzione che domina al vertice dell’azienda per la fornitura del magazzino e viene licenziato. Una giovane collaboratrice rifiuta di lavorare per il progetto che sta a cuore al suo capo perché pensa che potrebbe gettare discredito sull’organizzazione e viene valutata come una piantagrane. Un amministratore sollecita il CdA – malgrado l’opposizione di altri membri che si dichiarano contrari – a investire in tecnologie ambientali sostenibili e viene messo in minoranza.

Cosa c’è dietro a queste azioni così rischiose e, spesso, coraggiose che spesso rappresentano dei veri e propri boomerang per i denuncianti?

Il coraggio nelle aziende assomiglia raramente a quell’impulsività eroica che talvolta si manifesta nelle situazioni di vita o di morte. Nessuno è Ulisse. Anche il sottoscritto si è trovato in una situazione simile e quando la narrazione dei media era orientata a presentarmi come “l’eroe”, la mia risposta faceva presente che si trattava di un rischio calcolato, che si apprende e si perfeziona nel tempo. Sono stato il primo insider che nel nostro paese ha denunciato la malafinanza sostenendo e provando la connessione causale con i poteri forti ma, in quella circostanza, non ragionai solo di pancia.

Assumersi un rischio in modo intelligente richiede di capire ciò che si identifica come “coraggio calcolato”: un processo per prendere le decisioni che rendono più probabile l’avere successo, evitando comportamenti avventati e improduttivi.

Negli affari è richiesto un coraggio frutto di piena consapevolezza e di rischio calcolato, nei limiti delle informazioni disponibili al momento in cui si prendono le decisioni. Ne potrebbe scaturire un paradosso: “Coraggio sì, ma con prudenza”. Il coraggio, infatti, non deve tradursi in spericolatezza.

Quel coraggio deve essere sostenuto da un obiettivo personale e aziendale chiaro e ottenibile, una base di potere favorevole, una valutazione attenta dei pro e dei contro, un tempismo appropriato e… un piano B di emergenza ben congegnato.

Perché il coraggio, sebbene calcolato, spesso si scontra con la dimensione della azienda dove, nonostante le dichiarazioni di intenti puramente teoriche, non dominano valori quali la lealtà e la responsabilità. La lealtà non va intesa come cieca obbedienza e assenza di giudizio, ma come la capacità di esprimere sempre in modo costruttivo la propria opinione e un eventuale dissenso. Responsabilità è sapersi far carico delle proprie decisioni “senza se e senza ma”, in modo chiaro e trasparente.

Quando le skill individuali che sorreggono le decisioni di coraggio sono allineate con una filosofia aziendale che sostiene questi valori, allora i dipendenti di una azienda hanno il potere di effettuare le decisioni coraggiose che portano al loro successo e, soprattutto, a quello della loro organizzazione.

La codardia è un coraggio soffocato.

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