Accappatoio Versace, maglioncino bianco e seduto sul divano. Guè ha deciso di fare le cose per bene per presentare quello che è, ad oggi, il suo disco più bello: “Madreperla” con la mega produzione di Bassi Maestro. L’appuntamento è alla Triennale di Milano per una masterclass – diversi gli studenti universitari presenti – su “come fare un bel disco rap”. Un inizio d’anno di qualità per la musica italiana con un disco ricco di citazioni intergenerazionali (Ron, Tiromancino, Ini Kamoze per citarne alcuni), tanti feat da Rkomi, Marracash a Mahmood, produzione impeccabile e con testi in cui si racconta molto del privato di Guè.
Tra i brani più belli il singolo “Mollami pt. 2”, “Mi hai capito o no?” che riprende la cover italiana di Ron del 1983 di “I can’t go for that” firmata da Daryl Hall & John Oates, “Free” con Marracash e Rkomi che parla del movimento Black Live Matters e il body shaming (“L’oscurità del nostro tempo rimarrà così a lungo / che imparerò a vedere al buio”) e l’intima “Lontano dai guai”, con Mahmood (“Mio padre se n’è andato senza vedermi che riempivo il Forum / Nessuna donna mi ha riempito il cuore / Notte indimenticabile, dimenticherò todo / Il club è pieno ma io sono vuoto”).
Docente per un giorno: “Come si fa bene il rap” – Seduti al teatro della Triennale, Guè con cartelletta in mano annuncia: “Oggi vi insegno come si fa il rap bene” e si parte da The Sugarhill Gang con “Rapper’s Delight” del 1979 il primo disco rap della storia. Durante la lunga lezione sul rap, Guè mette anche i puntini sulle i sul rap in Italia. “C’è chi si è autoproclamato ‘pioniere del rap’ ed è stato Adriano Celentano con ‘Prisencolinensinainciusol’ del 1973. Se ciò fosse vero, Celentano avrebbe anticipato gli americani. Una roba fantascientifica, non è proprio così. Non basta cantare o ballare tempo in loop su base rap, ci vuole altro. Ci vuole compromesso tra musicalità e testo”. Dunque chi sono stati i pionieri italiani? Guè non ha dubbi: i ‘suoi’ Club Dogo.
“Sono boomer ma non un nostalgico” – Gli anni passano e anche le generazioni: “Pensavo di fare un rap comprensibile, forse le generazioni più vecchie non capiscono quello che dico io, così come capita a me di ascoltare i ragazzini di oggi e non capire niente”. Ma ha senso parlare di boomers? “È una parola un po’ forte, ma sì sono boomer ma non nostalgico. Oggi tutti mi dicono: devi fare TikTok! Incredibile come lì tutto parta da un balletto. Incredibile anche solo pensare che può esserci una adolescente che si mette a ballare su una canzone trap e questa canzone finisce in testa alla classifica e in tendenza. Ecco c’è qualcosa che non va in questo modo di ascoltare musica, c’è qualcosa di distopico. I video di Mtv hanno ucciso le radio star. Facebook ha ‘killato’ le star di MTV, poi è arrivato TikTok che ha ucciso tutti. Insomma si è verificata una vera e propria carneficina (ride, ndr)”.
“DOBBIAMO RACCONTARE SOLO LA VITA VERA”
“Dobbiamo raccontare solo la vita vera” – Il punto di partenza per creare un bel disco, secondo il “professor” Guè, è lo storytelling: “Raccontare una storia e da dove veniamo. Ci vuole un immaginario fisico da romanzare, attingere da materia grezza e vera. Una regola che mi pongo è quella di parlare di ciò che ho vissuto, non riportare robe da film o raccontate da terzi”. E cita Ice Cube: “Un rap è un rap una rima è una rima, un enigma è un enigma. Ma accompagnare qualcuno attraverso una storia, in modo magistrale e impeccabile, per me è la cosa più importante del gioco”. L’analisi si sposta poi sulla libertà di espressione linguistica (“importante parlare come si mangia”) e la personalità di un artista da non confondere con il personaggio: “Se puntate sul personaggio allora siamo tutti Kanye West. La musica è al primo posto. Mi piace citare Geolier la gente si deve affezionare alla musica non a come si è. Mi piace essere un maratoneta, non un centometrista”.
“HO FATTO TANTI FEAT. MI MANCA SOLO AL BANO!”
“Ho fatto tanti feat. mi manca solo Al Bano!” – Arrivano poi i bilanci: “Ho avuto la fortuna di vivere tante cose e di arrivare fino a qui. In molti ironizzano sui miei tanti feat, mi manca solo duettare con Al Bano! Ma è un modo per far soldi in un mondo competitivo e anche per migliorare. Se un nuovo talento desidera fare un feat con me, significa che sono riuscito a parlare a tutti ed essere punto di riferimento per questo genere. Per me è la gratificazione più bella, la sensazione di essere intergenerazionale”. Una cosa per il futuro è certa: “Mi spaventa fare pop. Mi piace fare le hit, non aspiro a condurre il Festival di Sanremo o fare politica o fare film. Ci vuole solo coraggio e io voglio essere il king nel mio genere”.