Ha giocato le ultime stagioni al Vissel Kobe, in Giappone, ma a 32 anni a fine stagione sarà di nuovo senza squadra. Aveva segnato 648 reti nelle giovanili del Barcellona, ma poi è stato sbriciolato dall'etichetta di "Nuovo Messi". Quando arrivò alla Roma disse: "Sono qui per tornare a essere felice". Nessuno aveva capito che dietro c'era qualcosa di profondo
A volte ammirare le stelle significa perdersi in un inganno. Perché la loro luce arriva chiara e brillante anche se si sono spente ormai da tempo. È così anche per Bojan Krkic, l’attaccante con la faccia da eterno ragazzo che continua a girare il globo nonostante il suo talento sia evaporato nel momento in cui ha lasciato Barcellona. O almeno così ripetono da una decina d’anni i giornali di mezzo mondo. Adesso il suo romanzo si è arricchito di un altro finale poco lieto. Il Vissel Kobe, la squadra giapponese che lo aveva ingaggiato un anno e mezzo fa, ha fatto sapere che non intende rinnovargli il contratto per la prossima stagione. D’altra parte il contributo dello spagnolo alla causa del club è stato impalpabile: 20 presenze in J-League, di cui appena 4 da titolare, e un solo gol segnato, peraltro inutile, l’ultimo del 5-1 con cui il Vissel Kobe ha battuto Urawa Reds a ottobre 2021.
La sua ultima partita risale allo scorso 26 giugno. Appena 28 minuti in campo, sempre contro gli Urawa Reds. Poi basta. Bojan è sparito dalla lista dei convocati senza più rientrarvi. Anche dopo aver smaltito un problema al menisco. Così ora, a 32 anni, Krkic si trova a dover reinventare per l’ennesima volta il suo futuro. Un paradosso per uno che da ragazzino aveva segnato 648 reti nelle giovanili del Barcellona. O forse no. Perché è impossibile sopportare il soprannome di “Nuovo Messi” quando Messi ha ancora tutta una carriera davanti. La punta di Linyola è stata presto risucchiata nelle sabbie mobili delle aspettative altrui. Ed ha avuto il torto di voler restare semplicemente Bojan quando tutti si aspettavano che diventasse Leo.
L’esordio in prima squadra, con Frank Rijkaard in panchina, è abbacinante. Krkic frantuma ogni record di precocità. In Champions, nella Liga. Segna dieci gol in campionato e una in Europa. L’arrivo di Guardiola sembra il trampolino di lancio. Solo che invece Bojan fatica a trovare spazio. Nella sua seconda stagione in blaugrana Pep può contare su Messi, su Ibra, su Henry, su Pedro. Bojan diventa la quinta punta. Almeno fino a primavera, quando Zlatan esce dei titolari e il centravanti in miniatura trova minuti e gol (saranno sette a fine anno). Ma come Sisifo anche Krkic ha un masso sulle spalle. Quello di dover sempre dimostrare qualcosa. E ogni volta che sembra esserci riuscito, ecco che lo spagnolo deve ricominciare da capo. La sua ultima stagione in Catalogna non è disastrosa ma neanche eccezionale. Gioca 27 partite e segna 6 gol. Per Pep è troppo poco per confermarlo. Bojan saluta fra le lacrime e cambia aria.
Lo aspetta la Roma americana e un altro tecnico spagnolo, Luis Enrique. Quando sbarca nella capitale Krkic dice: “Sono qui per tornare a essere felice“. È una frase che nessuno riesce a capire davvero. Tutti pensano che ci sia di mezzo la titolarità persa a Barcellona. Invece è qualcosa di molto più profondo. “Al Barcellona avevo gli attacchi d’ansia prima di giocare – ha detto molto tempo dopo – ma nessuno voleva parlarne. Al mondo del calcio queste cose non interessano”. E ancora: “Ho un problema, il calcio è la mia vita, ma soffro di attacchi d’ansia. Ho saltato un Europeo per questo e lì è stato il punto di non ritorno. Ma la gente non sapeva”. Le cose alla Roma non vanno poi meglio. Sette gol in campionato, ma solo due buoni per sbloccare una partita. Il divario fra quello che Bojan avrebbe dovuto essere e quello che in realtà è comincia a essere enorme. Il ragazzo non gioca più per scrivere il suo futuro, ma per sfuggire a un passato insostenibile. La Roma non lo vuole più. Il Barcellona non lo vuole più. Così si ritrova improvvisamente solo.
“Non andrei a prendere un caffè né con Guardiola, né con Luis Enrique”, dice mentre si guarda intorno. La polemica a distanza con Pep diventa uno sport da portare avanti contemporaneamente. “Al Barcellona a volte non giocavo perché mi allenavo male, ma anche quando mi allenavo bene finivo per non giocare“, afferma. “Da tifoso del Barça, penso che Guardiola sia il miglior allenatore per il club. Ma a livello personale ci sono state molte cose che non condivido e che mi hanno fatto stare male“, aggiunge. Intanto il ragazzo inizia il suo giro del mondo. Delude al Milan. Delude all’Ajax. Delude allo Stoke City. Delude al Magonza. Delude all’Alavés. Delude al Montréal Impact. I tifosi inglesi sono fra i pochi che si rifiutano di chiamarlo flop. Preferiscono dire che è stato sfortunato ma comunque importante in un periodo felice per il loro club. È una medaglia che il ragazzo si appunta sul petto: “I trofei e i titoli sono qualcosa di momentaneo, non durano nel tempo – spiega – quello che dura è la memoria della gente, quello che hai trasmesso con il tuo modo di giocare e di essere”.
In tutta la sua carriera Bojan ha segnato 73 reti. Otto volte in meno quelle che aveva messo a referto nelle giovanili del Barcellona. Eppure lui è l’unico che non sembra curarsene poi troppo. “Giocare tutta la vita nel Barcellona sarebbe stato molto gratificante, ma la quantità di barriere che ho superato e la quantità di esperienze che ho fatto non sarebbero state possibili se fossi restato nella mia zona di comfort”. Il trasferimento al Vissel Kobe sembrava un viaggio verso la periferia più remota del calcio. All’inizio della sua avventura i giornalisti giapponesi gli hanno domandato e si sentisse un po’ un incompiuto. Bojan ha risposto con sincerità: “Già dal primo giorno mi dicevano che dovevo essere più figlio di puttana. Inizialmente non riuscivo a capire ma poi, con gli anni ho provato a cambiare. Il problema è che non sono mai stato capace di esserlo. Quando mi ritirerò potrò dire che ho vinto la Champions League e di aver giocato in squadre di grandissima tradizione. Parlo inglese, italiano, spagnolo e catalano. E personalmente attribuisco più valore al parlare quattro lingue che alla possibilità di vincere altri cinque titoli”. Ora Krkic è pronto per un’altra partita. Quella più difficile, però, sembra averla già vinta. Perché ha dimostrato che si può essere felici restando Bojan, senza dover essere per forza Messi.