In Italia il governo Meloni fa cassa sul reddito di cittadinanza. Sarà abolito da agosto 2023 per gli “occupabili” – che altro non sono che i disoccupati, ma bisognava coniare un nuovo termine per addossare sulle loro spalle, fin dalla definizione, la colpa di essere senza lavoro – e dal 2024 per tutti (tranne che per persone con disabilità, over 60 e persone con minori a carico). E, per di più, cresce la colpevolizzazione e di salario minimo nemmeno a parlarne. Peggio del diavolo e dell’acqua santa.

Ma tutto il mondo è Paese oppure altrove si stanno tentando altre strade? Ecco alcuni esempi.

Germania

In Germania è stato approvato un aumento del reddito di cittadinanza: +50€ al mese. Un sostegno che arriva a 5 milioni di persone (in Italia ne raggiunge circa 3 milioni e si stima che almeno un milione di poveri ne sia in realtà escluso, vuoi perché la norma restringe appositamente la platea per soddisfare i palati razzisti e “manettari” di alcuni, vuoi per difetti di informazione).

Il motivo? L’ha spiegato Hubertus Heil, ministro del Lavoro a Berlino: “Il reddito di cittadinanza riguarda uno Stato sociale all’altezza dei tempi. Si tratta di proteggere in modo affidabile le persone in stato di bisogno. È una questione di solidarietà sociale”.

Ridimensionate anche le sanzioni contro coloro che non ottemperano agli obblighi di frequentare corsi di formazione o che rifiutano di predisporre domande di lavoro. L’opposto di quanto deciso a Roma.

E il salario minimo da ottobre è salito a 12 euro l’ora. Riguarda poco più di 6 milioni di lavoratrici e lavoratori su un totale di 45,2 milioni di persone attive. Soprattutto, secondo le stime della Confederazione sindacale tedesca, permetterà di mettere nelle tasche dei beneficiari ben 4,8 miliardi di euro restituendo un po’ di potere d’acquisto al segmento più povero della classe lavoratrice.

Spagna

In Spagna l’Imv – l’Ingreso Minimo Vital – cioè l’equivalente del reddito di cittadinanza, nel 2023 aumenterà dell’8,5%. Così come l’indennità di disoccupazione e le pensioni. Perché sono tutti istituti indicizzati all’inflazione: quella registrata a novembre 2022 è per l’appunto stata pari all’8,5%, di qui gli aumenti.

Il salario minimo è oggi di mille euro mensili per 14 mensilità (quindi 1.166 euro se lo calcolassimo sulle 12 mensilità). Con i sindacati che chiedono un ulteriore aumento, fino a toccare almeno 1.100 euro al mese. Dall’Ugt, uno dei principali sindacati di Madrid, fanno sapere che “non ci sarà lavoro di qualità senza salari sufficienti”. E le Comisiones Obreras rivendicano un salario minimo compreso tra i 1.082 euro e i 1.100 euro al mese per 14 mensilità.

Ma l’aumento del salario minimo ha provocato licenziamenti di massa e zero assunzioni, come preconizzano alcuni dei suoi detrattori qui a casa nostra? “Lungi dal distruggere posti di lavoro […] l’aumento del salario minimo ha ridotto le diseguaglianze e abbiamo raggiunto cifre storiche di contratti a tempo indeterminato” ha dichiarato la ministra del Lavoro di Unidas Podemos, Yolanda Diaz.

In Spagna c’è stata una riforma complessiva del mondo del lavoro che ha permesso di invertire il trend tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato: sono questi ultimi ad aver registrato un vero e proprio boom, con un +238,4% tra gennaio e novembre 2022, cioè +5 milioni (quelli a tempo sono calati di ben 9 milioni nel 2022). E la disoccupazione è ai minimi dal 2007.

Giappone

In Giappone il primo ministro Kishida ha chiesto alle imprese di aumentare gli stipendi. L’obiettivo è una struttura economica in cui i salari crescano ogni anno”. La Banca Centrale di Tokyo sostiene la richiesta del governo. Il governatore Haruhiko Kuroda ha affermato che “la Banca del Giappone sosterrà l’economia con un accomodamento monetario in modo che il suo obiettivo di inflazione sia centrato in modo sostenibile e stabile e accompagnato da un aumento dei salari”. A fine dicembre la stessa Nippon Ginko sosteneva che stipendi più alti e una maggiore domanda “potrebbero spingere in alto i prezzi in modo sostenibile”. Alla faccia della spirale prezzi-salari-prezzi invocata dal governatore della Banca d’Italia Visco (e non solo)!

I sindacati giapponesi, intanto, rivendicano già aumenti salariali del 5%, al di sopra dell’inflazione, pari al 3,7%. I nostri – ma non solo quelli italiani – si accontentano di chiedere aumenti già ben al di sotto dell’aumento dei prezzi, figuriamoci i risultati che riusciranno a spuntare. Ma perché il primo ministro giapponese si è impegnato a chiedere aumenti salariali? “Da 30 anni i salari non crescono, nonostante i profitti delle aziende siano aumentati” ha spiegato.

Una situazione assai simile a quella dell’Italia, unico Paese Ocse in cui i salari dal 1990 al 2021 sono calati (-2,9%), con un tonfo pesantissimo dal 2007 al 2022 (-10%) e un impoverimento netto del 4% nel solo 2022. Che sia giunta anche nel Belpaese l’ora di osare sfidare i dogmi di liberismo e austerità e mettere davvero i lavoratori e le lavoratrici al primo posto?

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