Attualità

Liam Gallagher: “Gli anni ’90 con i social network? Uno schifo, saremmo stati tutti in prigione”

Il cantante degli Oasis replica su Twitter a una fan che gli chiede come sarebbero stati gli anni '90 se fossero esistiti i social. Di recente anche Gwyneth Paltrow ha mostrato nostalgia per la libertà che si respirava in quel decennio oggi tornato in auge culturalmente parlando, ma in un contesto social(e) del tutto differente

di Emanuele Corbo

Che cosa sarebbe successo se negli anni Novanta, quando Liam Gallagher e il fratello Noel incantavano un’intera generazione con brani come Wonderwall e Don’t Look Back in Anger, ci fossero stati i social network? A rispondere alla domanda è, in maniera del tutto inaspettata, proprio il frontman degli Oasis. Interpellato sulla questione da una fan su Twitter, il cantante ha dato una risposta tanto stringata quanto chiara: “Sarebbe stato uno schifo, saremmo stati tutti in prigione”.

Nati a Manchester nel 1991, gli Oasis sono stati tra i simboli degli anni Novanta. Nel corso della loro carriera hanno fatto parlare non solo per la musica prodotta, ma anche per le continue liti intestine e per gli atteggiamenti a dir poco sopra le righe di Liam. E chissà che piega avrebbero preso gli eventi se ad ogni passo falso del cantante ci fossero stati i social ad amplificare i suoi gesti e le sue parole. 30 anni fa i cantanti, così come gli attori e più in generale i protagonisti del mondo dello spettacolo, risultavano agli occhi dei fan irraggiungibili e inarrivabili. Oggi quel muro è rovinosamente caduto e gli artisti hanno un rapporto molto più diretto con il pubblico. Sono loro a parlare in prima persona attraverso i social, a intavolare discussioni con i fan e a mostrarsi nella loro quotidianità. Di contro, però, questi stessi strumenti si sono rivelati un’arma a doppio taglio in grado di trasformare chiunque in paparazzo o, per dirla in altri termini, nell’occhio indiscreto e invadente di un “grande fratello”.

Già negli anni Duemila le cose hanno iniziato a cambiare. I paparazzi, quelli professionisti s’intende, si sono cibati in maniera sempre più selvaggia della sfera privata delle star (citofonare Britney Spears che nel 2007 ha vissuto un crollo emotivo con i riflettori puntati addosso e persino là dove non batte il sole). Nei gloriosi anni Novanta, invece, questo pericolo non esisteva. Ne ha parlato recentemente anche Gwyneth Paltrow ospite del Late Late Show di James Corden: “Potevi andare in un bar e divertirti, ballare su un tavolo, potevi farlo… senza cellulari! Soprattutto a New York, è interessante notare che non c’erano paparazzi”. Gwyneth ha candidamente ammesso che ai tempi tutto era concesso, anche farsi di cocaina senza che tutti lo sapessero (https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/01/11/gwyneth-paltrow-potevi-parlare-di-cocaina-senza-essere-scoperto-o-andare-a-casa-con-uno-sconosciuto-e-nessuno-se-accorgeva-lattrice-e-la-nostalgia-dei-90/6932504/). Ora, senza arrivare a tanto, è pur vero che al giorno d’oggi ci sentiamo più in dovere di aderire a modi di fare, di dire e di pensare che vengano accettati dalla “corte suprema” del web. Perché, ammettiamolo, è un attimo che anche per una virgola fuori posto parta la shitstorm (modo più elegante per dire “pestare un merdone”) e ci si debba chiudere in casa aspettando che si calmino le acque in attesa di un nuovo scandalo che attiri l’attenzione generale.

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