Ecco chi era davvero l'ultima "primula rossa" di Cosa nostra, il boss arrestato a Palermo dopo trent'anni di latitanza. I primi passi nella famiglia mafiosa di Castelvetrano (Trapani), l'incontro alla Fontana di Trevi con Giuseppe Graviano per pianificare gli attentati del '92-93, il rapporto con il senatore Antonio D'Alì di Forza Italia, le tante volte in cui è scampato alla cattura. Le ricchezze attribuite a lui finora sequestrate ammontano a circa 7 miliardi di euro
Non lo vede nessuno. In mezzo alla folla che da via della Stamperia scorre in direzione della fontana di Trevi nessuno può accorgersi di quel giovane magro e distinto. Indossa una camicia su misura, i pantaloni Versace, al collo ha un foulard di marca: un turista come gli altri, in uno dei luoghi più frequentati del mondo. Quello, però, non è un turista e non è lì per una gita. È quasi all’incrocio con via del Lavatore quando dà un’occhiata all’orologio che porta al polso, un Rolex Daytona d’oro e d’acciaio: l’appuntamento era per le 15, ma lui è un po’ in anticipo. Si guarda intorno, osserva le vetrine degli esclusivi negozi di abbigliamento, quindi si ferma davanti alla fontana più famosa d’Italia: fissa l’acqua che sgorga dalle rocce sotto al carro della statua del dio Oceano, probabilmente si fruga in tasca alla ricerca di qualche moneta da gettare nella piscina, come da tradizione. Febbraio sta finendo ed è pure spuntato il sole: l’uomo indossa un paio di occhiali scuri, i Rayban a goccia che tanto andavano di moda in quel 1992. Ha voglia di fumare una sigaretta: dalla tasca estrae un pacchetto di Merit, ne prende una e l’accende. È a quel punto che si sente chiamare: “Paolo, Paolo”. Quello, però, non è il suo vero nome. Ecco perché Matteo Messina Denaro impiega un paio di secondi prima di voltarsi: quando lo fa, Giuseppe Graviano gli sta sorridendo. Il boss di Cosa nostra è stato arrestato alla clinica La Maddalena di Palermo dopo trent’anni di latitanza, e trent’anni dopo quell’incontro davanti alla Fontana di Trevi.
In quel momento nessuno ancora lo sa, ma è appena cominciata la stagione stragista di Cosa nostra. Da lì a poco cadranno uno dopo l’altro nemici storici della mafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche amici che avevano tradito come Salvo Lima, il viceré di Giulio Andreotti in Sicilia. Poi toccherà ai civili, ai morti della strage di Firenze in via dei Georgofili, e a quelli di Milano, davanti al Padiglione d’arte contemporanea. Le bombe davanti alle basiliche romane di san Giorgio in Velabro e san Giovanni in Laterano, invece, non faranno per fortuna alcuna vittima. Ma ancora è presto. In quel tardo inverno del 1992 il Paese è più interessato alle notizie di politica: il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, ha sciolto le Camere. Tra poche settimane si tornerà a votare e per la prima volta sulla scheda non ci sarà il simbolo del Partito comunista, che si è trasformato nel Pds. Quelle saranno pure le ultime elezioni che vedranno la partecipazione della Democrazia cristiana, ma nessuno può ancora neanche immaginarlo. Negli stessi giorni a Milano viene arrestato Mario Chiesa, il “mariuolo” piazzato dai socialisti a dirigere il Pio Albergo Trivulzio. Sembra un caso isolato e invece sta scoppiando Tangentopoli.