"Non lo hanno preso per quello, ma come tutti ha avuto un ruolo essenziale nell'inchiodarlo alla sua rete di copertura". La criminologa Antonella Colonna Vilasi parla della ricostruzione del volto invecchiato così simile alla foto di oggi. Una "scienza" della criminologia che parte da lontano, dall'arte antica di ritrarre, passa per i primi casi negli Usa e arriva ai software. "Le foto segnaletiche fanno il giro del mondo, poi si scopre che il ricercato era dietro casa"
Non l’hanno preso per l’identikit. Anzi, a dirla tutta Matteo Messina Denaro era ricercato da oltre 30 anni dalle polizie di tutto il mondo ma alla fine non solo era in Italia ma se ne stava in una clinica di Palermo, a 70 km dalla sua Castelvetrano, nello stesso “ambiente” dove è cresciuto, ha avuto amici, parenti e nemici e dove più che altrove il suo volto poteva dire qualcosa a qualcuno. Cionondimeno stupisce – salvo il dettaglio degli occhiali – la somiglianza tra l’ultimo identikit realizzato nel 2014 e la foto dell’uomo appena Catturato dai carabinieri del Ros. Stupisce, se non si considerano i progressi fatti in questo campo da una branca della scienza criminale che muove i primi passi nei lontani anni Cinquanta, in seno all’Fbi, e si evolve grazie all’informatica e all’intelligenza artificiale, come ci racconta Antonella Colonna Vilasi, docente universitaria e rettore del Centro Studi sull’Intelligence U.N.I, autrice di oltre 80 volumi su terrorismo e intelligence. Sul tema ha scritto un capitolo della sua storia dell’Fbi ricostruendo come un’arte del ritratto sia evoluta oggi in una scienza sorprendentemente esatta.
L’ha stupita la somiglianza tra identikit e foto?
In effetti è sorprendente, ma questa scienza ha mosso i primi passi fin dagli anni Cinquanta e poi ne ha fatti da gigante. Già nel lontano 1957, quando il criminologo James Reinhart cercava di codificare il comportamento dei serial killer, si era concentrato sul problema di dare un volto ai criminali ricercati da tempo. Fu poi John Edgar Hoover a credere alle sue intuizioni e a creare in seno all’Fbi una divisione ad hoc. Nella storia criminale degli Usa il caso di scuola più citato in questo campo è quello di “Bundy”, il famigerato pluriomicida per il quale furono messi a punto identikit sempre più precisi anche con l’ausilio dei primi comportamentisti.
E’ come si è arrivati agli identikit di oggi?
C’è voluto ancora tempo ma soprattutto uomini che avevano operato sul campo e poi si sono dedicati allo sviluppo di questo settore molto particolare. Ricordo negli anni Ottanta Robert Ressler che lavorava nell’unità di scienze comportamentali per tracciare i profili dei criminali più violenti d’America e contribuì a dare impulso alle inchieste su 36 serial killer. Fu tra i padri del Violent Criminal Apprehension Program (Vicap) che è poi diventato la grande banca dati che consente alle polizie di tutto il mondo di interrogare casi non risolti, schedare i ricercati e collegare indizi a casi che si svolgono lontano nello spazio e nel tempo. La usano ancora oggi.
Ecco parliamo di software, sono come le app che usiamo per gioco?
Da qualche tempo in effetti anche i nostri cellulari hanno a disposizione applicazioni che usano algoritmi predittivi per invecchiare un volto, ma se il concetto è lo stesso l’accuratezza è molto inferiore e i risultati sono grossolani. Tenga presente che i software che usano intelligence e polizie di tutto il mondo sono implementati da anni e agganciati a un database ormai enorme, sono anche interconnessi tra loro. Oltre al fatto di poter contare su sviluppatori e competenze professionali che sono unici in questo settore.
Ma è una leggenda quella dei mafiosi e narcos che si rifanno la faccia?
Direi che una leggenda, visto anche il caso di Messina Denaro, è che il latitante cerchi la sua via di fuga lontano. La storia criminale della mafia, ma non solo, insegna che spesso il ricercato si rifugia dove è più ricercato, perché è lì che alla fine viene scovato, magari dopo anni di intese ricerche in tutto il mondo. Come lui, anche la cattura del boss corleonese Salvatore Riina è avvenuta a Palermo, il 15 gennaio del 1993, esattamente 30 anni fa. Era nel residence di via Bernini in cui viveva da tempo con la famiglia.
Né “Bundy” né Messina Denaro, a quanto pare, sono stati presi per l’identikit così perfetto
La funzione prima di una ricostruzione facciale così fedele, che richiede molto lavoro e tanta accuratezza, non è tanto o solo quella di permette l’identificazione immediata del soggetto tra miliardi di persone, o di offrire a potenziali testimoni un riscontro, come avvenne per due nel caso di “Bundy”. L’identikit ha anche una funzione investigativa più complessa e strategica: costringe il ricercato a muoversi con estrema circospezione, il più delle volte a costruirsi attorno una rete di supporto alla latitanza che coinvolge più persone e luoghi, che può moltiplicare gli indizi utili agli investigatori e le occasioni di commettere errori.
Una scienza esatta?
Quasi, perché poi l’ultimo identikit che era frutto delle rivelazioni di un pentito su un’operazione agli occhi era stato realizzato senza occhiali, che evidentemente il ricercato ha poi ripreso a utilizzare. Ma al netto di questo, non c’è dubbio che chi ha cercato di ricostruire il cambiamento del volto di Matteo Messina Denaro abbia fatto un lavoro straordinario, la foto di oggi lo dimostra.