Cinema

Strade perdute di David Lynch restaurato in sala. Allucinazioni e manierismo del regista di Twin Peaks alla prova spettatore 25 anni dopo

Il film, targato geograficamente già Mulholland drive e immerso già nello sfasamento percettivo di Inland Empire, grazie a The Criterion Collection e Cineteca di Bologna torna restaurato in 4k in sala dal 16 al 18 gennaio

di Davide Turrini

“Dick Laurent è morto”. Chissà in quanti ci sono cascati all’epoca. Chissà in quanti ci cascheranno per la prima volta 25 anni dopo. Strade perdute di David Lynch, targato geograficamente già Mulholland drive, immerso già nello sfasamento percettivo di Inland Empire, grazie a The Criterion Collection e Cineteca di Bologna, torna restaurato in 4k in sala dal 16 al 18 gennaio. Ed è subito soluzione arzigogolata, improbabile, catarifrangente dell’enigma. Strade perdute, in originale Lost Highway, è una storia di cambio di identità, in cui un jazzista (Bill Pullman) che abita in una villetta elegante e sinistra sulle colline di Los Angeles, dopo minacciose premonizioni sulla moglie (Patricia Arquette versione dark), viene condannato per l’omicidio di lei e poi si ritrova trasformato in un meccanico di automobili (Balthazar Getty) che viene sedotto dall’amante (ancora la Arquette, ma bionda) di un gangster (Robert Loggia) di cui ripara le auto.

Il Lynch di Strade perdute è quello che arriva sette anni dopo la Palma d’Oro per Cuore selvaggio, cinque anni dopo dal successo planetario tv di Twin Peaks (e dal clamoroso flop di una sorta di spin-off cinematografico di Twin Peaks nel ‘92) e prima del cupio dissolvi stracult degli anni duemila (Mullholland e Inland, appunto), a cui fanno seguito le recentissime previsioni del tempo su Youtube. In Strade perdute ci sono tutti i segni distintivi di una già conclamata maniera lynchiana: i particolari strettissimi su orecchie, bocche, occhi dei protagonisti; silenzi evasivi e interrogativi con stille di sudore sulla fronte dei protagonisti (qui vince Pullman per sforzo espressivo sulla voluta ma pesantissima catatonia di Getty); perfino ridondanti ralenti e rewind (i vhs che friggono oggi fanno perfino sorridere); oltre alla classico fantasy freak (qui incredibilmente un calvo Robert Blake che fu Baretta in tv) a collegare mondo semi-reale a allucinazione totale.

Nonostante l’impressionante flop commerciale (4 milioni di incassi su 15 di budget) e trascinato dai ditirambi dell’entusiasmo critico mondiale (per la gioia della società di psicanalisi mondiale il filosofo pop Zizek ci ha scritto centomila volumi ancor più accartocciati del film), Strade perdute risulta comunque uno dei film di Lynch tra i più leggibili e commestibili. L’artificio che sta alla base del film ha un andamento limpidamente febbrile e la solita incombente violenza, ma è molto più espressivamente equilibrato e ossessivamente frenetico di ciò che verrà a seguire nella carriera del regista di Missoula.

Infine, oltre alla rimasticazione del neo-noir in Strade perdute c’è una sorta di ipotesi metanarrativa applicabile a Lynch stesso come mai si era vista nel passato tra le cime gemelle del nostro e i futuri bollettini meteo di Los Angeles. Importante anche il soundtrack del recentemente scomparso Angelo Badalamenti. Certo non è il tema di Twin Peaks, ma l’assolo di sax tenore di Fred, con due sax baritono che si fondono con la base ritmica, è jazzisticamente, musicalmente, e funzionalmente narrativo come pochi esempi del connubio Lynch/Badalamenti. Qui le sale in cui potere (ri)vederlo.

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