Scossone al vertice di Tim. L’amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, si è dimesso “con effetto immediato” dal cda del gruppo telefonico, nel quale sedeva dal 2015. Il passo indietro segue a distanza di un mese quello di un altro manager dei francesi, Frank Cadoret, e priva Vivendi, primo azionista dell’ex monopolista con il 23,8% del capitale, di rappresentanti diretti in consiglio. La mossa è stata motivata dal numero uno dei francesi con l’opportunità di avere le mani libere, giocando solo nel ruolo di azionista una partita decisiva per il futuro gruppo telefonico. Tim attende infatti di conoscere l’orientamento sulla rete del governo: il ministro delle Imprese e Made in Italy Adolfo Urso ha aperto un tavolo con gli azionisti Vivendi e Cdp alla ricerca di una sintesi dopo aver bocciato il piano di Cdp per la rete unica a controllo pubblico.
Nel comunicare le sue dimissioni de Puyfontaine, secondo quanto riferito da Tim, ha sottolineato come “in questa fase di dialogo costruttivo fra i principali azionisti di Tim e le istituzioni sotto la guida del nuovo governo sia fondamentale che tutte le parti siano libere di lavorare in maniera costruttiva e trasparente nell’interesse della società e di tutti i suoi azionisti”. In questo contesto il manager ritiene “opportuno dedicarsi” da ceo di Vivendi “a ristabilire per Tim un percorso di crescita e ad assicurare che il valore reale del gruppo e della rete, nella sua unicità, siano correttamente riconosciuti”.
La scelta di Vivendi di indossare l’elmetto in vista del confronto sulla rete, con l’obiettivo di recuperare il più possibile dei circa 3 miliardi di minusvalenze accumulate in Tim, ha dato slancio al titolo in Borsa (+3,3% a 0,257 euro), prolungando un rimbalzo che in un mese ha spinto le azioni a recuperare oltre il 25% del loro valore, tra speranze di vendita della rete e spiragli di incentivi governativi al settore.
Per Equita la mossa dei francesi, che hanno ribadito di considerare “centrali” Tim e l’Italia nei loro piani di investimento, potrebbe essere funzionale alla presentazione di un “piano alternativo” alla vendita della rete a Cdp: un piano B consistente nello scorporo tra società della rete e dei servizi. Di avviso diverso Intermonte, secondo cui le dimissioni potrebbero “accelerare” un’intesa per la vendita della rete anche se Vivendi, che dispone di una “minoranza di blocco”, potrebbe sempre “bloccare la cessione in caso di valutazioni insoddisfacenti”.
Ma le dimissioni di De Puyfontaine arrivano anche in un clima di insoddisfazione da parte di Vivendi per la governance di Tim e per il suo presidente, Salvatore Rossi. Che, non è un mistero, i francesi giudicano poco imparziale e vorrebbero sostituire con l’ex ad di Poste, Massimo Sarmi, cooptato in consiglio al posto di Cadoret. “Fino a quando non verrà aperta una nuova stagione per Tim, Arnaud de Puyfontaine desidera dedicare tutte le sue energie” a Vivendi, hanno spiegato da Parigi. Non sembrerebbe invece che la strategia dei francesi sia quella di far decadere il board, per cui servirebbero le dimissioni di 8 consiglieri su 15: incluso de Puyfontaine sono infatti solo tre gli amministratori usciti senza che l’assemblea abbia confermato le successive cooptazioni.
Intanto mercoledì 18 gennaio tornerà a riunirsi il cda del gruppo telefonico, che vede l’amministratore delegato, Pietro Labriola, al lavoro per mettere a punto il nuovo piano che verrà presentato a metà febbraio. Nello stesso giorno si terrà il primo degli incontri con gli operatori convocati dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alessio Butti, “per approfondire le esigenze e le problematiche” del settore. Il governo, che non ha ancora riavviato il tavolo sulla rete, sta pensando a una serie di incentivi – dalla riduzione dell’Iva a ai voucher connettività – per ridare fiato a una filiera messa a dura prova dalla competizione e dalla crisi energetica.