Sono stati rinviati a giudizio i tre presunti pianificatori ed esecutori materiali dell’attentato terroristico sventato all’aeroporto di Brasilia. Si tratta di George Washington De Olveira Sousa, Alan Diego dos Santos e Wellington Macedo de Souza, tutti estremisti di destra, sostenitori dichiarati dell’ex presidente Jair Bolsonaro e frequentatori dell’accampamento davanti al quartier generale dell’esercito di Brasilia dove i tre avevano anche pianificato l’attentato, previsto per il 1° gennaio. I dettagli del piano sono stati chiariti da George Sousa, reo confesso e già in carcere. Gli altri due, irreperibili dal giorno dell’arresto, sono stati chiamati in causa da Sousa e ripresi in volto dalle telecamere del camion che trasportava cherosene allo scalo internazionale di Brasilia mentre piazzavano la bomba.
L’esplosione mancata, vista all’inizio come azione sbilenca di singoli, sarebbe stata usata probabilmente come motivo per l’istituzione di uno stato di emergenza da parte del governo di Jair Bolsonaro. Come emerso dal ritrovamento di una bozza di decreto trovata la scorsa settimana in casa dell’ministro della giustizia, ora in carcere, Anderson Torres. Il provvedimento avrebbe permesso al governo di sospendere i risultati delle urne, rinviare l’insediamento di Luiz Inacio Lula da Silva e rivedere l’intero processo elettorale delle presidenziali di ottobre. Le identiche rivendicazioni ripetute dai sostenitori di Bolsonaro che, sin dalle ore successive al ballottaggio presidenziale del 30 ottobre favorevole a Lula, hanno iniziato ad allestire accampamenti davanti alle caserme di tutto il paese invocando un intervento delle forze armate per sovvertire il risultato delle urne.
Sousa, funzionario di un distributore di carburanti e collezionatore di armi dello stato di Parà, aveva raggiunto la capitale a novembre. Armato di fucile automatico, fucili da caccia, pistole ed esplosivi, si era trasferito a Brasilia in un appartamento dove la polizia ha sequestrato l’arsenale. Alan Diego dos Santos, disoccupato del Mato Grosso, si sarebbe unito alla lotta perché senza impiego, come ha affermato la madre alla stampa. Wellington Macedo de Souza, giornalista che ha lavorato nel governo Bolsonaro, assunto dal ministero delle Donne, famiglia e diritti umani tra febbraio e ottobre del 2019, era a Brasilia da tempo.
Prima e dopo il contratto nel governo Bolsonaro il blogger ha collezionato una lunga serie di denunce, finendo in tribunale almeno 60 volte per aver divulgato video diffamatori attaccando politici e insegnanti. Bolsonarista radicale era già inoltre incappato nella rete di indagini della Corte suprema per gli atti anti-democratici portati avanti in occasione della festa dell’Indipendenza, il 7 settembre 2021. A causa dei suoi interventi, considerati istigazione a delinquere, in quell’occasione il giudice Alexandre de Moraes ne aveva disposto l’arresto, concedendogli poi i domiciliari. Subito dopo l’attentato di Natale, Macedo ha strappato via la cavigliera elettronica con cui era monitorato dalla polizia e si è dato alla fuga.
Originari di diversi Stati e con profili personali differenti, i tre avevano costruito la propria relazione, proprio nel sit-in permanente di Brasilia. La stessa caserma dove, secondo le rivelazioni del Washingoton Post, i vertici militari avrebbero protetto i bolsonaristi lì accampati dall’arresto per l’invasione dei palazzi del potere al Brasilia, usando un atteggiamento minatorio davanti ai ministri del governo Lula e alla polizia di Brasilia. Secondo il quotidiano statunitense quando domenica 8 gennaio alcuni esponenti del governo Lula sono arrivati davanti all’edificio dell’esercito, in compagnia della polizia, con l’obiettivo di arrestare i presunti partecipanti delle devastazioni di Brasilia “si sono trovati di fronte a carri armati e militari schierati“. Secondo le fonti del quotidiano il generale Julio Cesar de Arruda, avrebbe detto ministro della Giustizia, Flavio Dino “qui non arresterete nessuno”, dando modo a centinaia di bolsonaristi di fuggire.
La difesa dei manifestanti davanti alle caserme sarebbe stata messa in atto anche in altri Stati. Nel caso di Amazzonia la caserma dell’esercito sarebbe stata usata addirittura come base di appoggio logistica per gli accampamenti. In altri stati, Rio, San Paolo e Minas Gerais, i governatori e la polizia militare hanno deciso di disattendere la disposizione della Corte suprema di arrestare tutte le persone accampate, chiedendo invece gentilmente di andare via per evitare problemi. Numerosi sono anche i video diffusi negli ultimi giorni in cui si vedono soldati proteggere la ritirata dei bolsonaristi dopo le devastazioni di Brasilia. Tutti elementi che gettano un’ombra oscura sul coinvolgimento delle forze armate nelle sempre più leggibili trame golpiste. Bolsonaro, formalmente incluso nella lista degli indagati come mandante delle devastazioni, resta intanto negli Stati Uniti, e il ministro Dino esclude una richiesta di estradizione. Una mossa per prendere tempo ed evitare nuove rivolte in caso di arresto del leader.