Il nome del militare, 36 anni, originario di Botta di Sedrina un piccolo paese tra Bergamo e la Valle Brembana, è stato ricordato ieri dal comandante del Reparto investigativo del Ros, Lucio Arcidiacono. Nei locali dell'anticrimine di Palermo c'è la sua foto
C’è un carabiniere che ieri non ha potuto festeggiare l’arresto di Matteo Messina Denaro perché è morto 16 anni fa mentre cercava di piazzare una telecamera nell’indagine dedicata alla cattura del boss. Cadde da un burrone a Monte Catalfano, tra Aspra e Mongerbino (Palermo), non mentre era alla ricerca di un latitante qualsiasi, ma perché come tanti militari del Ros era a caccia della primula rossa di Castelvetrano. Era il 13 luglio del 2007, era notte e forse per questo non si accorse che il terreno sotto di lui stava cedendo.
Il nome di Filippo Salvi, 36 anni, originario di Botta di Sedrina – un piccolo paese tra Bergamo e la Valle Brembana – è stato ricordato ieri dal comandante del Reparto investigativo del Ros, Lucio Arcidiacono: “In particolare dedico questo successo al nostro maresciallo…”. Una morte che fa ancora male in un giorno di gioia per aver visto finalmente ripagati anni di sacrifici, feste saltate e orari impossibili. Salvi si era arruolato proprio per quello: perché deciso a dare un contributo alla lotta contro la mafia. Una scelta di vita dettata dalla passione civile e dall’amore per la Sicilia. All’epoca non era stato possibile rivelare che il militare, nome di battaglia Ram, era nel gruppo di coloro che erano sulle invisibili tracce dell’ultimo padrino stragista. Salvi, la cui foto è presente nel reparto anticrimine di Palermo, lavorava da dieci anni nel Ros e la sua storia è ormai patrimonio dell’Arma e anche della cattura di Messina Denaro. Salvi era chiamato Ram perché era considerato uno specialista dell’informatica.
A lui i compagni hanno dedicato una lettera qualche anno fa che racconta tanto di questo giovane uomo del Nord che si sentiva a casa in Sicilia e che era infaticabile. “Era il ‘polentone’ più ‘terrone’ che abbiamo conosciuto – si legge nella lettera sulla pagina Facebook Crimor – Unità Militare Combattente – È vero, lui era più siciliano di noi, amava la nostra terra forse più di noi. Rideva sempre, e chiacchierava tantissimo. Litigare con lui era impossibile: quando capiva che il tenore della conversazione diventava rissoso, ti faceva una grossa risata, ti abbracciava e spariva. Era sempre disponibile a risolverci i problemi e ad ascoltarci. La sua giornata era fatta di 38 ore. Nel lavoro era animato da una passione indescrivibile. Innamorato del sole e del mare, un’altra sua grande passione. Anche dentro la bara hai sfoderato un’espressione serena e il tuo bel sorriso quasi a volerci riferire che sei sempre con noi”. A Ram l’estate scorsa è stata dedicata una piazza a Sedrina per ricordare il suo sacrificio e per lui è stata scritta anche una canzone in siciliano: “Storia di un Ancilu Carabiniere” perché considerato una delle tantissime vittime di mafia.
Rispondendo alle domande dei cronisti la madre ha ricostruito un episodio emblematico raccontatole dal figlio. Quando Totò Riina durante il processo vide questo carabiniere portava alcuni faldoni gli disse: “Tu non sei terrone”. No, “questo viene da Bèrghem” rispose un collega. E il boss: “Ma chi te l’ha fatto fare di venire in Sicilia?” e il maresciallo rispose: “Sono venuto giù per te”.