Moda e Stile

Milano Moda Uomo, top e flop. Dal cachemire di Zegna alla sostenibilità di Canali e l’inconsistenza di Gucci: cosa abbiamo visto, cosa ci è piaciuto e cosa no

Dopo anni di grande sperimentazione ai limiti dell’eccesso, adesso i brand hanno cambiato rotta, virando verso un mood più tradizionale e conservatore, sull’onda di quell’estetica old money che tanto piace alle nuove generazioni. Lo avevamo visto già da Pitti e ora ve lo confermiamo. Un processo di transizione che è stato facile, per non dire facilissimo, per chi già aveva alle spalle una storia sartoriale forte; ma che si sta rivelando invece assai più insidioso per chi, invece, si trova a dover fare un triplo salto carpiato con doppio avvitamento per compierlo

di Ilaria Mauri

È nel punto di equilibrio tra eleganza e comodità che si trova la sintesi di questa tre giorni di sfilate Uomo milanesi, primo appuntamento ufficiale della moda per questo 2023, dopo Pitti. Dopo anni di grande sperimentazione ai limiti dell’eccesso, adesso i brand hanno cambiato rotta, virando verso un mood più tradizionale e conservatore, sull’onda di quell’estetica old money che tanto piace alle nuove generazioni. Lo avevamo visto già da Pitti e ora ve lo confermiamo. La moda sta vivendo così la sua età della Restaurazione, con il ritorno di quei pezzi considerati intramontabili e identitari di ogni marchio, accompagnati da nuove creazioni all’insegna dell’altissima qualità dei materiali, per un lusso realmente esclusivo. Un processo di transizione che è stato facile, per non dire facilissimo, per chi già aveva alle spalle una storia sartoriale forte; ma che si sta rivelando invece assai più insidioso per chi, invece, si trova a dover fare un triplo salto carpiato con doppio avvitamento per compierlo. È il caso di Gucci che, dopo un settennato sotto la geniale e sovversiva direzione creativa di Alessandro Michele, sta tornando ad un’estetica più classica: la sua sfilata uomo Autunno/Inverno 2023-2024 era la più attesa ma si è rivelata una comprensibile delusione. È toccato al team creativo interno all’azienda l’arduo compito di raccogliere un’eredità pesante come quella di un creativo che per primo ha mandato in passerella il gender fluid non come stile ma come visione di vita. In tal senso, il ritorno (dopo tre anni) a collezioni separate per uomo e donna è stato già un primo sostanziale passo. Ecco quindi che il team ha lavorato per sottrazione, consegnando un guardaroba ai limiti dell’anonimato, con declinazioni libere delle tante mascolinità contemporanee che fondono influenze diverse, derivate dagli archivi e da ispirazioni contrastanti, in primis lo streatwear. “Si va avanti, gli uomini passano, i brand restano”, ha commentato l’ad di Gucci Marco Bizzarri. E mai frase fu più azzeccata.

È stato decisamente più facilitato nel compito, invece, Alessandro Sartori, il direttore creativo di Zegna, storico lanificio biellese. L’azienda, con alle spalle una solida tradizione familiare, ha puntato tutto sull’altissima qualità delle sue materie prime mettendo al centro la filiera produttiva non solo metaforicamente. In una storica manifattura di Lambrate, ha ricostruito la sala delle mischie, dove si lavora il cachemire che poi andrà a comporre il 70% dei capi della sua prossima collezione Autunno/Inverno “Oasi di cachemire”. Quei batuffoli bianchi che volteggiano in aria nelle grandi vasche di vetro sono infatti gli stessi che vengono selezionali dagli artigiani del gruppo e poi trasformati prima in filato, poi in materia e infine in prodotto. Con Oasi Cachemire, Zegna si è posta l’obiettivo di diventare completamente tracciabile con la fibra del cachemire entro il 2024. Il brand ha sviluppato questo nuovo tessuto di cachemire con cui va a comporre capi disegnati secondo un tailoring moderno che si combinano tra loro in un perfetto incastro di silhouette e proporzioni. L’estetica è pulita ed essenziale, i grigi mélange medi e scuri si accompagnano ai toni cammello con tocchi di colore a spezzare la monocromia. La grammatica che compone questo guardaroba maschile è quella tipica del brand, con la comodità di capi senza costruzione definiti solo attraverso il taglio e tessuti ricercati dal touch avvolgente e funzionale. L’attenzione per la sostenibilità unita a quella per la tradizione, ha fatto recuperare infatti a sartori l’antico casentino, un particolare tessuto di lana pratico per la sua impermeabilità e accattivante per il suo finishinig “a pallini”. Focus sui materiali anche nella nuova collezione A/I 2023 di Eleventy, brand nato dalla precisa intuizione di Andrea Scuderi, Paolo Zuntini e Marco Baldassari di puntare tutto sullo smart luxury, ovvero su capi sartoriali e giovanili all’insegna di un’eleganza informale. L’ispirazione è a quel mood preppy anni ’60, per un uomo tutto “perbenino”, curato nei minimi dettagli. Tra le novità della stagione il “bianco nuvola” e una rivisitazione del blazer, capo iconico di Eleventy, in chiave più chic, che osa un ritorno a spalline più piccole: si accompagna ai pantaloni di velluto a costine o al denim. Menzione speciale, poi, per i capi reversibili, in primis gli imbottiti: capolavori sartoriali che richiedono fino a 18 ore di lavoro artigianale per ogni singolo pezzo, perfetti per garantire diversi look durante un viaggio con poche combinazioni a disposizione.

Casual è la parola d’ordine anche della nuova collezione di Canali, l’azienda di sartoria fondata nel 1934 in un piccolo paesino della Brianza da Giacomo e Giovanni Canali. Oggi il marchio è guidato da Stefano Canali, terza generazione della famiglia, che lo sta proiettando sempre di più nel mercato internazionale: dopo aver chiuso il 2022 con un fatturato di oltre 193 milioni, si appresta ora ad inaugurare nei prossimi mesi altre quattro nuove boutique, una a Milano, due in Cina e poi in India. D’altra parte, proprio i Paesi esteri rappresentano il 90% del mercato del brand, con Stati Uniti e Regno Unito in primis. “Adesso lavoriamo per dare alle nostre collezioni una componente sempre maggiore di sostenibilità, non solo a livello ambientale con il tracciamento della filiera Made in Italy, l’utilizzo di materiali riciclati e il monitoraggio dell’impatto dell’organizzazione produttiva, ma anche sociale, con un’attenzione verso i nostri dipendenti”, ci spiega Stefano Canali, Ceo dell’azienda, durante la presentazione nello spazio scenografico del Salone dei Tessuti, palazzina in stile neogotico originariamente destinata allo stoccaggio e controllo di qualità e metraggi dei tessuti. La sostenibilità, per Canali, è la massima espressione di gentilezza: una forma di rispetto per l’ambiente e per l’intera comunità umana: “Migliorare si può e si deve, ma serve prima di tutto maturare consapevolezza relativa al proprio operato. Occorre misurarsi. Da qui la decisione di quantificare l’impronta complessiva del nostro business sviluppando gli studi OEF (Organisation Environmental Footprint) e PEF (Product Environmental Footprint). Sono misurazioni oggettive, scientifiche, chiare, lontano da ogni logica di greenwashing, quantificano 16 indicatori in diversi ambiti, dal cambiamento climatico al consumo di acqua e risorse naturali, dagli eco-sistemi alla salute dell’uomo, analizzando in profondità l’impronta ambientale di tutta la filiera, a monte e a valle del prodotto e dell’azienda. Ciò che è emerso è che un capo Canali ha benchmark di durabilità superiori alla media di settore mentre il suo impatto, considerato l’intero ciclo di vita del capo, è nettamente inferiore”. Questo approccio responsabile, da sempre valore intrinseco nel Dna del brand, trova ulteriore esemplificazione nei capi Care qui presentati, dove proprio i tessuti hanno un ruolo centrale in questa collezione che si ispira nei toni ai colori della natura, dai verdi ai beige e i marroni: materiali organici certificati o riciclati di altissima qualità, dove anche l’imbottitura dei capi trapuntati è realizzata con gli scarti dei tessuti del ciclo produttivo in un primo esperimento di upcycling. Con la collezione Uomo Autunno-Inverno 2023/24, anche Santoni elabora i propri codici distintivi attraverso materiali innovativi. Anche la più classica delle calzature maschili si anima con un guizzo di personalità grazie ai colori degradè, emblematici del brand così come bla doppia fibbia, ora applicata anche alle borse maschili. Tutto nel segno di un’artigianalità evoluta che connota l’universo maschile con una purezza di stile e l’unicità del prodotto.

Un’operazione simile a quella compiuta da Domenico Dolce e Stefano Gabbana che – un po’ come Gucci – hanno sentito il bisogno di mettere un punto al percorso fatto finora e aprire una nuova fase creativa per il loro brand. In realtà, il due stilisti avevano intrapreso già nei mesi scorsi un lavoro di analisi e introspezione di quelli che sono i geni costitutivi del Dna di D&G, culminato con l’omaggio al loro archivio fatto nella collezione donna presentata a Milano lo scorso settembre. Il nero, interrotto da sprazzi di bianco e di nude, è il colore prescelto per fare tabula rasa e ripartire dall’essenza del loro lavoro, da quell’identità che impressero negli anni ’90 con le loro prime collezioni. ”Il nero è il Sud, è un nostro codice ed è – spiegano Stefano e Domenico – come disegnare una silhouette con una matita su un foglio di carta o come una foto in bianco e nero, eterna rispetto a quelle a colori”. “Essenza” è così il titolo della collezione uomo presentata in passerella sabato 14 gennaio: “Avevamo voglia di tornare al DNA, all’essenza del nostro marchio perché in questo momento abbiamo tutti gli occhi così pieni di immagini che ci siamo detti – racconta ancora il duo creativo – ‘facciamo ciò che siamo togliendo tutto’”. Il risultato è tutt’altro che minimale: sostanziale, piuttosto. Il focus è sui singoli pezzi e sullo studio che vi è dietro: dal cappotto lungo anni ’90 portato sopra ai boxer alle fusciacche dei primi 2000, dall’iconica giacca al corsetto come tocco di stile. Tutto, rigorosamente, in un nero profondo illuminato solo da tocchi di cristalli che riflettono la luce come le pietre laviche dell’Etna. Il tutto all’insegna di quella sartoria dietro al quale “c’è una visione, una vita: oggi tutto è spersonalizzato, compri un logo, non una filosofia, mentre noi – sottolineano gli stilisti – facciamo le cose per sentimento, non siamo una multinazionale e questa è una grande libertà”. Una dichiarazione d’intenti quantomai potente e controcorrente in questo mondo della moda dominato sempre più dalla rincorsa frenetica dei due colossi francesi del lusso, Kering e Lvmh, pronti a sacrificare la creatività per il guadagno.

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