Con la protesta dei benzinai accusati di “speculazione” è emersa una preoccupante crepa che riguarda il settore della distribuzione e vendita dei carburanti. Un settore anomalo rispetto agli altri Paesi europei con una forte impronta corporativa che non solo difende il proprio status (le colpe di aver speculato sul ritorno dei prezzi ad accise piene che gli avevano adossate da alcuni ministri erano del tutto infondate) ma attaccano. E la nuova dichiarazione di sciopero del 25 e 26 gennaio contro il decreto del Governo lo dimostra.
Chi conosce le motivazioni dell’ultimo sciopero effettuato dai benzinai (13-15 dicembre 2022) sulla rete autostradale non poteva non accorgersi che un gran fuoco cova sotto le ceneri del settore. Tanto che i loro sindacati per affrontare la crisi hanno messo in mora la piratesca gestione dei concessionari autostradali nei loro confronti.
Dopo aver denunciato il pessimo stato delle aree di servizio, la Confesercenti ha proposto di ridurre del 10% le aree di servizio per ridurre i prezzi. Questa malagestione dei concessionari autostradali era emersa al grande pubblico solo dopo il crollo del ponte Morandi senza che nulla da allora cambiasse. I profitti delle concessionarie non solo passavano dai pedaggi più alti d’Europa, ma anche dalle aree di servizio. Nel 1998 le Autostrade prendevano sulla ristorazione e sulle benzine il 4-5% del fatturato lordo, oggi è il 30-35%: si tratta di rendite a tutto campo. Gli acquisti sono diminuiti in autostrada anche dell’80% ma gli incassi dei concessionari sono aumentati. Lo stato di degrado in cui si trovano le aree di servizio autostradali è pessimo, sia in termini di prezzi dei carburanti sia della ristorazione, e fuori mercato – per non parlare dei sempre più modesti standard qualitativi e di sicurezza. Giusto dei ring per tifosi possono diventare, come quella di Arezzo. In Italia c’erano nel 2019 ben 22.812 distributori di carburante.
Siamo il Paese con il maggior numero di punti vendita, in Germania sono 14,5 mila, in misura ancora minore Spagna e Francia. Di conseguenza l’erogato medio dei nostri distributori è nettamente inferiore alla media europea del 40% con circa 1.300 mc/anno venduti. Un gap negativo che riduce i margini per i gestori che finiscono col pesare sul prezzo alla pompa per automobilisti e autotrasportatori. La differenza è maggiore rispetto a quasi tutti gli Stati europei, tanto che il Regno Unito registra un erogato più di tre volte superiore come Spagna, Francia e Germania.
Negli ultimi anni il mercato petrolifero è stato interessato da profondi cambiamenti. La crescita delle pompe bianche e delle strutture di vendita nei supermercati (fenomeni sostenuti dalle aziende petrolifere) sta caratterizzando l’attuale ristrutturazione del mercato. In aumento il peso delle pompe bianche, che sale al 20% dall’8% del 2010. L’erogato medio delle pompe bianche pari a circa 1.160 mc/anno si mantiene inferiore alla rete tradizionale. Se le pompe bianche non sfondano cala anche l’erogato medio sulla rete autostrade, riducendosi del 52% tra il 2010 e 2017, passando da 5.670 mc/anno a struttura a 2.692 mc/anno.
I consumi di benzina sulla rete autostradale sono in costante flessione, non solo e non tanto per ragioni legate alla crisi. Nel periodo 2010-2017 la benzina ha registrato un calo del 27%; il gasolio del 9%. In autostrada il calo delle vendite è del 60% per la benzine e del 54% per il gasolio. In autostrada pesano le royalties riconosciute ai concessionari autostradali che oltretutto hanno pure avuto la possibilità di aumentare ancora i pedaggi del 2% nel 2023 e quindi di confermare l’allegra gestione degli extraprofitti.
Prezzi, inflazione, servizi, mobilità, inquinamento, pressione fiscale e transizione ecologica si intrecciano. Problemi troppo importanti per passare, come al solito, nel dimenticatoio.