di Simona Palone*
Il legislatore italiano, con la previsione dell’articolo 5 (“Disposizioni in materia di previdenza complementare”) del Decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, ha dato attuazione alla Direttiva 80/987 Cee per garantire ai lavoratori subordinati una tutela “minima” in tutti i casi di insolvenza dell’impresa, anche nel caso di omesso o parziale versamento dei contributi da parte del datore di lavoro a una forma di previdenza complementare.
Stante la non mutuabilità nel settore della previdenza di secondo pilastro, libera e volontaria, del principio di automaticità delle prestazioni che assiste invece la previdenza obbligatoria (cfr. articolo 2116 codice civile), dall’omesso versamento dei contributi al fondo pensione discende l’impossibilità di questo ente di erogare la relativa prestazione all’aderente. Pertanto, il lavoratore iscritto al fondo pensione (o i suoi eredi/beneficiari in caso di premorienza) può chiedere l’intervento del “Fondo di garanzia per la previdenza complementare” istituito presso l’Inps quando il suo credito risulti anche parzialmente insoddisfatto durante la procedura fallimentare e/o concorsuale che ha coinvolto l’impresa insolvente chiedendo di integrare presso la gestione complementare interessata i contributi risultanti omessi.
In particolare, secondo le istruzioni fornite dalla circolare Inps n. 23 del 22 febbraio 2008, a essere garantiti sono le contribuzioni e le somme destinate al fondo pensione (e non versate dal datore) e quindi: il contributo del datore di lavoro, il contributo del lavoratore che il datore di lavoro abbia trattenuto e non versato, la quota di Tfr conferita al fondo che il datore di lavoro abbia trattenuto e non versato maggiorati del tasso di rivalutazione previsto per il Tfr dall’articolo 2120 codice civile.
La quota di Tfr versata al fondo pensione divenuta contribuzione alla previdenza complementare non potrà più essere richiesta, quindi, al più noto “Fondo di garanzia per il Tfr” istituito sempre presso l’Inps di cui all’articolo 2 della Legge 29 maggio 1982, n. 297, che tutela il lavoratore dal mancato pagamento del Tfr accantonato in azienda e delle ultime tre mensilità di retribuzione. Le procedure concorsuali che danno titolo all’intervento del fondo di garanzia per la previdenza complementare sono il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria.
In questo caso i presupposti per l’intervento del fondo di garanzia sono, anzitutto, l’iscrizione a un fondo di previdenza complementare al momento della presentazione della domanda; la cessazione del rapporto di lavoro; l’insolvenza del datore di lavoro accertata mediante apertura di una delle procedure concorsuali indicate. Infine l’accertamento dell’esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l’intervento del Fondo di garanzia, con ammissione del credito del lavoratore nello stato passivo delle procedure.
Qualora, invece, il datore di lavoro non sia assoggettabile a procedura concorsuale, i presupposti per l’intervento del Fondo di garanzia sono in parte i medesimi, ma in luogo della apertura della procedura concorsuale, l’insolvenza del datore va dimostrata con la prova dell’inapplicabilità, allo stesso, delle procedure concorsuali per mancanza dei presupposti soggettivi (ad esempio, con decreto del Tribunale di rigetto dell’istanza di fallimento) indicati dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), nonché con la dimostrazione dell’insufficienza delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata (a esito di tentativo di pignoramento negativo o parzialmente positivo).
L’Inps specifica che in assenza della previsione di uno specifico termine di prescrizione, il diritto a chiedere l’intervento del fondo di garanzia per la previdenza complementare è soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale previsto dall’articolo 2946 codice civile decorrente dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il fondo di garanzia versa l’importo relativo ai contributi omessi direttamente alla forma pensionistica complementare in cui si è manifestata l’omissione contributiva o presso la quale il lavoratore abbia successivamente trasferito la posizione. Non è prevista la corresponsione diretta al lavoratore.
Il riconoscimento della legittimazione attiva a ricorrere al “Fondo di garanzia per la previdenza complementare” solo all’iscritto sembra indicativa di una scelta legislativa in favore della titolarità del diritto alla contribuzione in capo all’iscritto stesso, piuttosto che in capo al fondo pensione. Per quanto il dibattito sulla titolarità della contribuzione tra iscritto e fondo pensione sia molto vivace sia in dottrina che in giurisprudenza – tanto da meritare un approfondimento dedicato, anche perché lo strumento qui illustrato non esaurisce gli aspetti che riguardano la tutela delle posizioni individuali di previdenza complementare – sembra potersi affermare che la linea interpretativa più consolidata appaia quella che riconosce al lavoratore dipendente l’esclusività della legittimazione attiva ad agire in giudizio per il recupero della contribuzione previdenziale complementare omessa da parte del datore di lavoro.
*Avvocata giuslavorista, esperta di previdenza complementare