Il giudice per l’udienza preliminare di Brescia Cristian Colombo ha rinviato a giudizio il procuratore aggiunto di Milano e responsabile del pool affari internazionali, Fabio De Pasquale, il pm Sergio Spadaro, da poco più di un anno alla Procura europea. Erano accusati di rifiuto d’atto d’ufficio per il presunto mancato deposito, nel 2021, di elementi che la difesa riteneva potenzialmente favorevoli agli imputati nel processo sul caso Eni-Nigeria, poi tutti assolti in primo grado con la formula “perché il fatto non sussiste”. Processo che si è chiuso definitivamente perché la procura generale aveva rinunciato all’appello attaccando i pm. A chiedere il rinvio a giudizio al giudice Cristian Colombo era stata la Procura di Brescia che aveva messo un punto fermo anche all’ultimo filone delle indagini sullo scontro tra pubblici ministeri milanesi la scorsa estate e che ha sullo sullo sfondo le vicende della compagnia petrolifera italiana e l’ex consulente legale esterno Piero Amara, autore delle dichiarazioni ritenute infondate su una loggia massonica. Il dibattimento si aprirà il prossimo 16 marzo.

L’inchiesta era stata chiusa due volte dopo una riapertura per effettuare una perizia sul telefono di Vincenzo Armanna, ex manager Eni valorizzato dalla Procura milanese come ‘grande accusatore’ dei vertici del gruppo, tra cui l’ad Claudio Descalzi (assolto), nel processo nigeriano. I pm bresciani, guidati da Francesco Prete, contestano a De Pasquale e Spadaro di non aver depositato nel dibattimento sull’ipotizzata e non provata corruzione sui diritti di esplorazione del giacimento Opl245 una serie di chat ritrovate nel cellulare di Armanna nelle quali si parlava di 50mila dollari che l’ex manager avrebbe chiesto indietro ad Isaak Eke, il cosiddetto ‘Victor’, citato come teste nel dibattimento per confermare le accuse. Armanna consegnò ai giudici solo parte di quei messaggi, mentre il pm di Milano Paolo Storari (assolto a Brescia dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio sui verbali di Piero Amara) aveva scovato gli altri Whatsapp nelle indagini sul cosiddetto ‘falso complotto’ e li aveva girati ai vertici della Procura all’epoca di Francesco Greco. Non furono depositate nel processo, stando all’ipotesi della magistratura bresciana, anche altre chat di Armanna, sempre recuperate da Storari, con un altro teste nigeriano Mattew Tonlagha, che sarebbe stato ‘indottrinato’. In più, tra le accuse mosse ai pm milanesi anche il non aver introdotto nel processo presunte false chat, ancora una volta scoperte da Storari, che Armanna avrebbe creato per dare conto di suoi colloqui (falsi) con Descalzi e il capo del personale Eni Claudio Granata. Sul fronte del cellulare dell’ex manager di Eni, una perizia ha accertato la possibilità di “estrapolare dalla copia” del telefono “solo alcuni dati di interesse” senza dover disvelare l’intero contenuto. Infine, un’ultima contestazione: il mancato deposito di un video del luglio 2014 in cui, come ha spiegato il Tribunale milanese nelle motivazioni assolutorie, è registrato un incontro tra Armanna e Amara.

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