Dieci giudici sugli undici che compongono la suprema corte hanno stabilito che Netanyahu debba rimuovere Deri dall'incarico che gli aveva affidato. Una decisione non definitiva, nonostante il caos politico che questa sembra destinata a generare, perché sarà proprio il primo ministro a decidere se accettare o meno l'indicazione dei magistrati
Il nuovo governo di estrema destra israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu, ha appena 20 giorni di vita, ma dopo le polemiche sulla formazione dell’esecutivo e sulle dichiarazioni e azioni compiute da alcuni suoi esponenti, oggi perde anche il primo pezzo. La Corte Suprema nazionale ha infatti stabilito che Aryeh Deri, il nuovo ministro dell’Interno e della Sanità, non potrà prendere il suo posto alla guida del dicastero. L’esponente del partito religioso Shas, infatti, risulta essere stato condannato per reati fiscali in passato.
Per questo motivo, 10 giudici sugli 11 che compongono la suprema corte hanno stabilito che Netanyahu debba rimuovere Deri dall’incarico che gli aveva affidato. Una decisione non definitiva, nonostante il caos politico che questa sembra destinata a generare, perché sarà proprio il primo ministro a decidere se accettare o meno l’indicazione dei magistrati. La sua posizione, però, è molto scomoda: il premier, per rimanere al potere, conta sull’appoggio di una coalizione composta da diverse formazioni estremiste, tra cui quella di Deri, che se decidessero di fare un passo indietro potrebbero compromettere la sopravvivenza del nuovo esecutivo.
Lo dimostra anche il silenzio dietro al quale Netanyahu si è nascosto dopo le uscite di altri suoi ministri, come Itamar Ben-Gvir, noto sostenitore di una strategia anti-palestinese, che pochi giorni dopo il suo insediamento ha deciso di mettere in campo la prima provocazione del suo mandato concedendosi una passeggiata, con tanto di mega scorta armata, sulla Spianata delle Moschee, scatenando le proteste della popolazione musulmana d’Israele e della Cisgiordania e costringendo il premier ad annullare il proprio viaggio negli Emirati Arabi, Paese che tra i primi ha condannato l’azione del ministro della Difesa. Ma Ben-Gvir non si è fermato qui: pochi giorni dopo ha deciso di dare ordine alla polizia di rimuovere tutte le bandiere palestinesi, definite un “simbolo del terrorismo”. Martedì, invece, è stato il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, a dichiarare: “Sono fascista ma prometto di non lapidare gli omosessuali”.
Questa volta, il capo dell’esecutivo dovrà invece fare i conti con i precedenti penali del responsabile degli Interni. Secondo i ricorrenti, le condanne subite dall’esponente politico hanno reso la sua indicazione a ministro “irragionevole” e contraria alla legge di base del governo. La sentenza, secondo molti analisti, aggraverà lo scontro in atto tra togati ed esecutivo, con il governo che vuole limitare i poteri della Corte e avviare una profonda riforma della giustizia. Il tutto mentre è in corso una crisi diplomatica con l’importante vicino giordano: proprio ieri Amman ha convocato l’ambasciatore israeliano Eitan Surkis dopo che “la polizia israeliana ha fermato l’ambasciatore giordano all’ingresso” della Spianata delle Moschee nella “Gerusalemme occupata”. All’ambasciatore è stata consegnata una “lettera di protesta dalle parole forti” da trasmettere immediatamente al suo governo. Nella missiva, il ministero giordano ha detto di “condannare tutte le misure che interferiscono negli affari” della Spianata delle Moschee e ha ricordato che “l’Amministrazione Waqf degli affari di al Aqsa e Gerusalemme, affiliati al ministero giordano degli Affari Religiosi, è l’unica autorità legale con giurisdizione esclusiva” sulla Spianata, compresi gli ingressi. “Israele come Paese occupante – ha concluso – deve essere all’altezza dei suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale”.