Daniela aveva 37 anni e un cancro al pancreas, in una delle forme più spietate. Lo sapeva. E sapeva anche che la battaglia sarebbe stata terribile e impari. Per questo, quando la sofferenza divenne insostenibile, chiese al comitato etico della Asl di competenza di poter essere sottoposta alla verifica delle condizioni per aver accesso al suicidio assistito. Poteva farlo perché due anni prima la Corte Costituzionale aveva stabilito nella sentenza Cappato che in Italia non è reato, a patto che ci siano precise condizioni. E Daniela voleva che gli esperti dicessero se tutte quelle condizioni, lei le rispettava. Se, dunque, era affetta da patologia irreversibile con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche, se fosse sottoposta a trattamenti di sostegno vitale e se fosse nella piena capacità di autodeterminarsi. Era il febbraio del 2021. Daniela è morta nel giugno successivo, senza mai ricevere quella risposta.
È solo uno dei casi che la cellula pugliese dell’associazione Luca Coscioni ha portato nell’aula del Consiglio regionale della Puglia dove si doveva tornare a parlare della legge sul “fine vita”. Ma la discussione, anche questa volta, non c’è nemmeno stata. Perché l’argomento continua a spaccare la maggioranza di centrosinistra e la prima dimostrazione si era avuta nella seduta del 4 ottobre scorso, durante la quale l’allora dem Fabiano Amati, presentò la proposta di legge sul suicidio medicalmente assistito. Senza nemmeno aprire un dibattito, il Pd si era spaccato e con Movimento 5 Stelle e la quasi totalità del centrodestra, aveva bocciato la proposta.
Amati, che nel frattempo con altri due colleghi è transitato in Azione, il partito di Carlo Calenda, nella prima seduta del 2023 ha riproposto la legge, modificandone un po’ il testo come nel frattempo suggerito dall’associazione Coscioni. Ma una bagarre politica durata oltre 20 minuti tra il neonato gruppo Azione e il resto della maggioranza ha travolto anche quel punto all’ordine del giorno. La scintilla è stata la richiesta della presidente del Consiglio, Loredana Capone, al capogruppo calendiano, Ruggiero Mennea, di chiarire la loro collocazione. “Siamo dove ci hanno votato gli elettori, nella maggioranza”, è stata la risposta. Tanto è bastato per scatenare la bufera, i capigruppo dei partiti di maggioranza – Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Popolari con Emiliano e le civiche del governatore Per la Puglia e Con – hanno sbarrato la strada agli ex colleghi, decretandoli fuori dal loro perimetro.
La successiva richiesta di Fabiano Amati – che di Azione è anche coordinatore regionale – di anticipare la legge sul fine vita e discuterlo prima delle mozioni calendarizzate, ha trovato difronte un muro. No secco. Non se ne parla. Anche questa volta. L’assessore alla Salute, Rocco Palese, però ricordando “l’imperdonabile silenzio del Parlamento che sulla questione è latitante”, ha però annunciato che la giunta regionale era pronta ad approvare una delibera che istituisce i comitati etici in tutte le Asl con l’aggiunta di uno specifico nel Policlinico di Bari così da dare attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale di tre anni fa. E poco dopo l’approvazione è arrivata. “Infantilismo al potere”, per Amati che pur accettando il compromesso della delibera “se serve a dare attuazione alla sentenza” non manca di definire una “commedia” quella andata in scena in aula.
Il punto, però, è la mancanza di un dibattito trasparente che permetta quantomeno di comprendere il reale pensiero di ogni singolo consigliere. Sono pochi i casi in cui lo si è espressamente dichiarato al microfono o firmando la proposta di legge – è il caso dei democratici Campo, Caracciolo, Mazzarano, dei decariani Metallo e Paolicelli, del consigliere di centrodestra Pagliaro – tutti gli altri hanno preferito non esprimersi. Un dibattito, invece, è proprio ciò che aspettavano, tra i banchi del pubblico, i volontari dell’associazione Coscioni. “La delibera, pur apprezzando il tentativo di mediazione, non ha la forza vincolante per le Asl che avrebbe una legge regionale – è il commento di Filomena Gallo, segretaria dell’associazione -. Solo la discussione di una proposta di legge può portare ad un miglioramento del testo affinché sia rispettata la volontà del malato di essere sottoposta a verifica, un diritto che ha stabilito la Consulta con la sentenza Cappato”.
E le persone che attendono di poter esercitare quel diritto non sono poche come si potrebbe pensare. “La Puglia non è un’isola felice”, è l’amaro commento di Nino. Lui è uno dei volontari che risponde al telefono bianco dell’associazione. Numero che squilla ogni giorno, decine di volte al giorno. “Le ultime due telefonate alle quali ho risposto – racconta – sono di due persone, entrambe malate di cancro. Volevano sapere cosa è possibile fare in Italia e cosa no. Io ho spiegato le possibilità che ci sono, senza una normativa chiara. Ora ci stanno pensando, devono prima parlarne con le famiglie”. La speranza di Nino è di non rivivere la storia di un uomo barese che ha seguito personalmente, costretto a letto per 15 anni dopo un terribile incidente stradale. “Muoveva solo gli occhi, non ce la faceva più. Sapeva che nonostante la sentenza, in Puglia avrebbe perso solo tempo. È andato in Svizzera. Si è spento lì”.
Il punto sono soprattutto i tempi che, per la Gallo, con la legge diventerebbero vincolanti. “Federico Carboni – ricorda – nelle Marche, attese due anni per la verifica dei requisiti. Le bozze di legge che abbiamo preparato per le Regioni stabiliscono tempi certi: 20 giorni per concludere il procedimento. Stiamo parlando di persone malate, sottoposte a gravi sofferenze. I loro tempi sono diversi da quelli di una Pubblica Amministrazione. Forse è bene ricordarselo”.
(immagine d’archivio)