di Davide Trotta, insegnante

“S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo”. Chissà, Dante forse si macchierebbe di plagio e penserebbe a questo verso incipitario di un celebre sonetto di Cecco Angiolieri, per sfogare il suo sdegno a fronte del paragone un poco blasfemo avanzato dal ministro Gennaro Sangiuliano che attribuisce a Dante posizioni di destra. A tacere dell’operazione intellettuale da bollino rosso, per cui si applicano categorie odierne a un autore vissuto secoli fa, certo, Dante è considerato il padre della lingua italiana, quindi perché non promuoverlo paladino del patriottismo di destra.

Ma Dante è anche quello morto lontano dalla sua amata patria fiorentina, pur di non piegarsi a dinamiche di potere, in cui non si è mai riconosciuto e che mai ha monopolizzato, a differenza della destra attualmente al governo, che ha promosso in Parlamento politici di vecchio corso, che in molti casi rimasticano politica da almeno un ventennio, se non di più. A questo punto anche Cicerone, riconosciuto come il demiurgo della prosa letteraria latina e ostile a forestierismi contaminatori della purezza linguistica classica, rischierebbe di vedersi scaraventato nel calderone di destra.

Ma, si dirà, Sangiuliano scende dal regno della didattica per competenze che insegna agli studenti le cosiddette life skills, cioè a calare nella vita di tutti i giorni il frutto di contenuti nozionistici. Eppure quando a quel regno di didattica per competenze osò attingere qualche anno fa la prof.ssa palermitana i cui studenti paragonarono le leggi razziali ai decreti legge di Matteo Salvini sugli immigrati, si scatenò subito la feroce macchina burocratica che portò la professoressa a sospensione immediata, poi revocata. Ovvio, si tratta di piani diversi, eppure convergenti per l’instaurazione di un paragone. Forse nel caso di Sangiuliano ancora più grave perché dimostra quasi una violazione verso scuola e cultura, prese dal collo come il cappone, e messe a cuocere per soddisfare il menu di una parte, la destra in questo caso.

Come se la cultura non appartenesse a tutti, al di là delle barriere di spazio e di tempo, e delle bandierine da apporre persino su un libro di letteratura: perché se Dante è di destra arriverà qualcuno di sinistra a rovistare in un altro libro, per cogliere qualche fiorellino a caso da un autore e rivendicarlo alla propria ideologia. Questa operazione rievoca tempi infausti in cui i contenuti proposti a scuola venivano piegati e distorti nell’ottica della propaganda mussoliniana, da cui questo governo è assolutamente estraneo, beninteso. Ma calare sul tavolo tale carta può ricordare precedenti sinistri, se non sotto il profilo politico, almeno sotto il profilo culturale.

Se politicizzare la scuola è operazione di lunga lena, stigmatizzata da intellettuali quali Antonio Gramsci e Luigi Sturzo, e perpetrata a turno dai governi susseguitisi nella storia, e altresì operazione miope perché volta a ingabbiare un pensiero, a orientarlo, a scapito della pretesa volontà di addestrare ragazzi alla realtà futura, dopo la scuola. E di addestramento è lecito parlare, se è vero che alcuni ragazzi finiscono per perdere persino la vita in quella che una volta si chiamava alternanza scuola-lavoro. Fino a quando governi di varia natura sentiranno impellente il desiderio di apporre il proprio sigillo sulla scuola e più in generale sulla cultura, il rischio che la libertà nelle sue varie declinazioni possa essere mutilata resterà alto.

Destra, sinistra e quant’altro in circolazione usino la cortesia di lasciare sgombro da riflessi condizionati quello che dovrebbe essere il laboratorio di idee e pensieri della società presente e futura ricordando che, se a destra e sinistra e altri schieramenti non hanno votato milioni di Italiani alle ultime elezioni, possiamo risparmiare almeno a chi ha vissuto 700 anni fa l’onere di questa scelta.

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