Se lo Stato lascerà morire Alfredo Cospito – in sciopero della fame nel carcere di Sassari dallo scorso 20 ottobre per protestare contro il regime speciale detentivo ex articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario a cui è sottoposto dallo scorso maggio – avrà perso su ogni piano. Lo sciopero della fame, che affonda le proprie radici nella storia della nonviolenza, è un’azione di protesta che mette a rischio il corpo di chi la compie. Uno Stato forte, in qualsiasi delle sue articolazioni, non misura la propria autorevolezza negando ascolto a chi protesta in forma nonviolenta. L’ascolto fa parte del gioco sano della democrazia ed è perdente un’istituzione che lo teme.
Sul piano dei contenuti della protesta, il regime detentivo del 41-bis nasceva dopo la strage di Capaci del 1992 per fronteggiare il più grande attacco criminale allo Stato degli ultimi quarant’anni. Scopo di tale durissimo regime, nel quale il detenuto vive in condizioni di estremo isolamento, è quello di impedire i contatti tra la persona e l’organizzazione criminale di appartenenza, qualora tali contatti possano costituire un concreto e serio rischio per la sicurezza pubblica. Qualora dunque l’organizzazione in questione costituisca effettivamente una minaccia e un pericolo per l’ordine pubblico, secondo un’obiettiva valutazione politica e criminale che uno Stato forte deve essere capace di effettuare.
Gli organismi internazionali sui diritti umani hanno sempre invitato le autorità italiane ad attente valutazioni individuali sulla reale pericolosità delle singole diverse situazioni.
Una valutazione individuale può dimostrare come, al di fuori di casi estremi, per conseguire il risultato della neutralizzazione del pericolo sia sufficiente affidarsi alle forme ordinarie di detenzione. Nel sistema penitenziario italiano, a seguito di apposite circolari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, fin dall’inizio degli anni 90 esistono le sezioni di alta sicurezza, nelle quali il regime di vita è meno duro per la salute rispetto a quello del 41-bis e nelle quali Cospito è stato detenuto per molti anni prima del maggio scorso.
Molte voci si stanno autorevolmente alzando per chiedere una revisione della decisione che ha portato a recludere Cospito in una sezione 41-bis. Revisione che nulla sottrarrebbe alle politiche di contrasto alla criminalità violenta. Anzi. Nel solco della ragionevolezza costituzionale togliere Cospito dal 41-bis contribuirebbe a riproporre anche in fase esecutiva della pena il sacrosanto principio di proporzionalità evitando generalizzazioni che non giovano alla lotta al crimine organizzato.