“Quando dico che i mafiosi non parlano a telefono, alludo al fatto che nessun mafioso abbia manifestato al telefono la volontà di delinquere o comunque espresso delle parole che costituiscono prova di un delitto in atto, in progressione o programmato”. A due giorni dall’arresto di Matteo Messina Denaro, trovato in possesso di più cellulari e rintracciato anche grazie alle intercettazioni dei suoi fiancheggiatori, il Guardasigilli Carlo Nordio prova a ritrattare la sua discutibile affermazione di qualche settimana fa: “Io non credo che un vero mafioso parli a telefono. Per l’esperienza che ho io, non parla nemmeno in mezzo a un campo con la Quinta di Beethoven come sottofondo”, aveva detto in Commissione Giustizia alla Camera (ripetendolo anche in tv). Martedì, alla domanda del fattoquotidiano.it che gli chiedeva se fosse pentito di quelle parole, il ministro ha evitato di rispondere. E il giorno dopo, illustrando al Senato la relazione sullo stato della giustizia, fa una specie di marcia indietro: è vero, ammette, i boss parlano a telefono, ma non dei reati che commettono. Nordio però scivola sull’ennesima buccia di banana. Perché la cronaca giudiziaria è piena di casi in cui dagli ascolti telefonici di membri della criminalità organizzata si sono raccolti indizi e prove importantissimi, anche decisivi per le successive condanne.

Celebri ad esempio le telefonate del 1980 in cui Vittorio Mangano, il boss di Cosa nostra ex stalliere di Silvio Berlusconi, fa riferimento a “cavalli“, in realtà partite di droga, da vendere e comprare. “Dimmi, per quei due cavalli di Milano, cosa faccio?”, gli chiede un esponente del clan degli Inzerillo. E lui risponde di consegnarli “in quella piazza lì, in quell’albergo grande”, cioè l’hotel Plaza di piazza Diaz, a 50 metri dal Duomo. Mangano e i suoi soci verranno così condannati, anche perché in altre telefonate parlano della consegna di un mezzo cavallo sempre in quell’albergo “del centro” di Milano.

Saltiamo al 2009, quasi trent’anni dopo. Nell’indagine “Bad boys” sulla ‘ndrangheta tra le province di Milano e Varese viene intercettata dalla Procura antimafia una conversazione tra Mario Filippelli, il boss della locale di LegnanoLonate Pozzolo (condannato in abbreviato a 13 anni e 4 mesi), e un suo uomo, Rosario Bonvissuto. Che gli riferisce, si legge nell’annotazione, “dell’esito dell’ultima visita per richiedere il “pizzo”” a un certo Piero, titolare di un locale. “Gli ho dato botte io a Piero”, si vanta Rosario al telefono. “Lo hai picchiato?”. “Sì!”. “Gioia mia, ma lo hai massacrato?”. “No, normale Mario. Questo locale qua te lo faccio saltare io… e dico, io sono abituato a farmi quello che mi devo fare, gli ho detto…”. E ancora: “Il Mario è la persona più distinta… dico… che ci ha questo mondo, e te lo ha dimostrato, quindi tu lo puoi avere come amico e come protettore e sono due belle cose, perché se no… devi scegliere altre persone come protettori, ma che non servono a niente, perché qua… dico… comandiamo noi altri…”.

Ma non mancano i casi molto più recenti. Nel Trapanese l’“Operazione Scrigno” del marzo 2019 porta all’arresto di 25 persone tra cui vari politici “a disposizione dei boss”: finisce in carcere l’ex deputato regionale Paolo Ruggirello, ritenuto il tramite tra le istituzioni e i clan. Gli inquirenti ascoltano Pietro Virga, esponente di una nota famiglia mafiosa della zona, legatissima proprio a quella di Matteo Messina Denaro. E lo sentono dire a un amico al telefono: “Mi sto giocando tutte le carte per questi politici… Dobbiamo raccogliere voti… Tu lo sai che se le cose vanno bene a me vanno bene a tutti”. E arriviamo al novembre dell’anno scorso, quando 49 arresti alle porte di Milano decapitano la locale ‘ndranghetista di Rho. “È tornata la legge… è tornata la ’ndrangheta“, dice al telefono il boss 74enne Gaetano Bandiera commentando il proprio “ritorno in campo” dopo aver scontato la condanna che gli era stata inflitta nel processo Infinito. E litigano al telefono con Domenico “Mimmo” Curinga, capo di un’altra famiglia di “uomini d’onore”, per una vicenda di droga, lo minaccia candidamente: “Dobbiamo fare una faida?”. Tanto che l’altro lo mette in guardia: “Stiamo parlando troppo per telefono di queste cose qua”. La replica però è spiazzante: “Ma io parlo per telefono perché non me ne fotte della galera… non ho mai avuto paura della galera”. Con il ministro Nordio potrebbe averne ancora di meno.

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