Il giudice si è riservato di decidere sulle misure cautelari nei confronti di Luppino. Il commerciante di olive ha sostenuto che Messina Denaro gli era "stato presentato come Francesco" e lui lo ha accompagnato "per solidarietà umana". I pm nella richiesta definiscono il latitante "custode di verità inerenti le pagine più cupe della storia repubblicana". E sottolineano come senza fiancheggiatori la latitanza sarebbe finita molto prima di 30 anni
Senza fiancheggiatori di alto livello la latitanza di Matteo Messina Denaro non sarebbe mai potuta durare trent’anni. Lo scrivono i pm della procura di Palermo, Pierangelo Padova e e Alfredo Gagliardi, nella richiesta di convalida dell’arresto di Giovanni Luppino, il commerciante di olio d’oliva incensurato, bloccato lunedì 16 gennaio insieme al boss di Castelvetrano. Il gip Fabio Pilato ha convalidato questa mattina la misura cautelare per l’uomo che aveva accompagnato Messina Denaro alla clinica La Maddalena di Palermo a bordo della sua Fiat Bravo bianca.
“Per me era Francesco” – Luppino risponde di procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati dal metodo mafioso. Assistito dal suo legale Giuseppe Ferro, davanti al Gip l’ultimo autista di Messina Denaro si è difeso sostenendo di non sapere che l’uomo che stava accompagnando fosse il boss di Castelvetrano. Il commerciante di olive ha raccontato di averlo conosciuto qualche mese fa e che gli era stato presentato con il nome di “Francesco” come il cognato di Andrea Bonafede, il geometra che ha “prestato” la sua identità al super latitante. Luppino ha aggiunto di averlo accompagnato lunedì scorso per la prima volta a Palermo, dove il boss doveva sottoporsi a un ciclo di chemioterapia, perché gli era stata chiesta questa cortesia proprio a causa delle sue condizioni di salute.
“Messina Denaro custode di verità sulle stragi” – Una linea difensiva bocciata dalla procura. “Nessun elemento può allo stato consentire di ritenere che una figura che è letteralmente riuscita a trascorrere indisturbata circa 30 anni di latitanza, si sia attorniata di figure inconsapevoli dei compiti svolti e dei connessi rischi, ed anzi, l’incredibile durata di questa latitanza milita in senso decisamente opposto, conducendo a ritenere che proprio l’estrema fiducia e il legame saldato con le figure dei suoi stessi fiancheggiatori abbia in qualche modo contribuito alla procrastinazione del tempo della sua cattura che, altrimenti, sarebbe potuta effettivamente intervenire anche in tempi più risalenti”, scrivono ancora i pm. Che definiscono Messina Denaro con una frase netta: “È verosimilmente custode di verità inerenti le pagine più cupe della storia repubblicana“.
“L’autista è sempre soggetto fidato del boss” – A proposito di Luppino, ancora, gli esponenti della pubblica accusa lo definiscono come un “soggetto pericoloso”, anche se non ha precedenti penali. “Nonostante l’incensuratezza deve sottolinearsi che l’indagato risulta la persona più vicina allo storico capomafia trapanese su cui forze di Pg e magistratura siano riusciti oggi e mettere le mani”, scrivono i magistrati. Per i pm Luppino “è un collaboratore certamente fidato di uno degli ultimi storici capi della stagione stragista e terroristico mafiosa dell’organizzazione Cosa nostra, fino ad oggi capace di mantenere l’anonimato e il suo stato di latitanza a fronte di centinaia di arresti di fiancheggiatori e decine di prossimi congiunti”. Poi la procura si concentra sul ruolo di accompagnatore di Luppino: “Costituisce fatto notorio che l’autista di una figura di spicco di una organizzazione criminale come quella mafiosa sia necessariamente soggetto di assoluta fiducia della persona ‘accompagnata’, inevitabilmente al corrente del delicato compito affidatogli”. Un ragionamento che ha ancora più valore “nel caso di un capomafia che sia per giunta latitante da oltre 30 anni”.