Scuola

Padova, la protesta degli studenti iraniani idonei ma esclusi dalle borse di studio: “Tagliarle in questo momento è brutale”

“Abbiamo ottenuto il diritto a ricevere una borsa di studio, ma non ci sono fondi e così rischiamo di dover tornare in patria. Tutti sappiamo che cosa significhi vivere oggi in Iran, un Paese dove i giovani vengono uccisi dal governo”. Quattro ragazzi dell’università di Padova lanciano un appello. Un nuovo capitolo si apre dopo che, da metà novembre scorso, oltre 2400 universitari dell’ateneo padovano si sono visti rifiutare il contributo regionale pur rientrando nei limiti patrimoniali richiesti: ad oggi non sarebbe ancora arrivata una risposta dai politici e dagli enti preposti. Dall’anno scorso, grazie a una manovra del governo Draghi, i parametri ISEE per richiedere la borsa di studio e gli importi sono aumentati: la platea però è aumentata a dismisura e centinaia di aventi diritto sono rimasti esclusi dalla graduatoria per esaurimento dei fondi regionali. L’università ha provato a mettere una pezza versando a inizio novembre più di 7 milioni, ma lo sforzo non si è rivelato sufficiente: oggi numerosi italiani e stranieri non hanno ricevuto neppure un euro di quelli promessi. Per gli “idonei non beneficiari” questo significa dover abbandonare gli studi, perché la famiglia non riesce a coprire il costo esorbitante delle tasse, degli affitti e dei servizi. Ma non solo: guerra, abusi, esecuzioni in pubblica piazza, repressione delle rivolte e delle proteste. Sono le preoccupazioni di alcuni studenti iraniani che frequentano un master a Padova e hanno raccontato la loro storia a ilfattoquotidiano.it in forma anonima per sicurezza.

“Ho messo da parte un po’ di soldi – dice B, al primo anno di economia aziendale – per vivere una vita migliore in Italia. Dopo tre mesi che vivo a Padova, il servizio regionale e l’università hanno comunicato che per mancanza di fondi non sono in grado di fornire le borse di studio”. L’ateneo ha istituito dei pacchetti per sostenere gli studi di chi viene da Afghanistan e Ucraina. “Considerando le recenti condizioni dell’Iran – afferma F, di ingegneria ambientale – è un diritto reclamare le borse di studio per le quali sono idonei. Non è ora che l’Iran entri in questa lista di Stati con condizioni speciali?” Colleghi uniti nel dissenso. “Tagliare le borse di studio promesse in questo momento va oltre la brutalità” sostiene P, di ingegneria energetica.

Per circa 200 studenti non europei il sussidio, previsto per garantire il diritto allo studio, non è arrivato a causa dell’aumento degli importi minimi e della platea di possibili beneficiari. L’assessora all’istruzione del Veneto Elena Donazzan ha scaricato le responsabilità sul governo: “O ci danno i fondi o cambiano i criteri, se resta così è chiaro che ci saranno idonei senza contributo”. Grazie a uno scostamento di bilancio pochi giorni fa sono stati stanziati 500mila euro per far entrare alcuni idonei in graduatoria: contando che servono più di 20 milioni, il caso è tutt’altro che risolto. Un gruppo di universitari padovani e iraniani ha protestato più volte, in questi mesi, davanti al palazzo della Regione e ha chiesto un incontro con l’esponente di Fratelli d’Italia: come già accaduto in passato con altre associazioni studentesche, Donazzan non si è presentata.

In attesa di una risposta da parte delle istituzioni, un gruppo di studenti e studentesse iraniane si sono organizzati per gestire uno spazio di mutuo aiuto a Padova: Coalizione Civica ha concesso la sede in due momenti a settimana per consentire ai ragazzi di sostenersi e per far partire una raccolta fondi.

Intanto c’è chi ha richiesto il permesso di soggiorno, che permette di lavorare fino a 20 ore a settimana e, forse, di sopravvivere. “L’ho chiesto in settembre – spiega B – e potrebbero volerci mesi prima di ottenerlo. Per ora studio e prendo in prestito un po’ di soldi da amici; posso campare ancora un mese, ho un budget limitato”. Nel frattempo c’è chi si arrangia come può. “Cerco lavoro online come video editor – dice P – è l’unico modo legale per ottenere soldi. Tra pochi mesi potrei finire quelli che ho: non ho pensato a cosa farò, per ora spero e prego”.

L’alternativa non c’è. I genitori in patria stanno affrontando una situazione drammatica e, per via delle sanzioni e di un cambio di valuta sbagliato, non possono inviare all’estero più di una certa somma di denaro. “Non possiamo chiedere soldi alle nostre famiglie perché ci sono dozzine di problemi nel nostro paese”; “è la peggior situazione possibile e il valore della moneta scende tutti i giorni. Quando ci sentiamo dico loro che va tutto bene, stanno già affrontando una guerra”. “Le famiglie non possono fare nulla ora”. E ancora. “Non voglio tornare in Iran – commenta G, di economia aziendale – voglio andare altrove e aiutare la mia famiglia da fuori”.

Senza aiuti dai propri cari, il timore di dover tornare si fa concreto. “A questo punto l’unica opzione per noi è abbandonare l’università. Nel mio Paese le persone stanno morendo per strada. Alcuni nostri amici sono stati arrestati dal governo, io ho perso dei rapporti a causa della difficile situazione”.

Quale orizzonte, dunque? Al momento i giovani universitari stranieri sono in un limbo, in attesa del contributo che varrebbe fino a 7mila Euro l’anno; qualora non arrivasse prima dell’esaurimento dei risparmi, il ritorno in Iran resterebbe l’ultima spiaggia. “I giovani vengono uccisi dal governo”; “ho protestato sui social, se torno mi arrestano”. Grande paura per le ragazze che, reclamando la parità dei diritti, rischierebbero di essere torturate: “Ci sono grosse possibilità che io venga uccisa o abusata. Mio fratello sta protestando, sono in panico per la sua vita ogni giorno”; “se tornassimo in Iran potrebbero arrestarci perché da qui abbiamo preso parte alle proteste contro il governo e non abbiamo indossato l’Hijab in Italia. Gli studenti iraniani affrontano un serio rischio di problemi mentali e suicidio. Alcuni ragazzi vengono da famiglie povere e se tornano verranno mandati al servizio militare. L’università ci ha lasciato da soli, ora temiamo un futuro incerto”.