Le persone che erano state coinvolte in passato sono state iscritte nel registro degli indagati per evitare di incappare in questioni di nullità o di inutilizzabilità. Le loro posizioni, comunque, all’epoca, erano state tutte archiviate. Per De Nicolo ifino al termine dell’accertamento ogni "frettolosa attribuzione di responsabilità" sarebbe una "gratuita illazione"
A poco meno due mesi dalla riapertura delle indagini, a distanza di 16 anni dall’ultimo attentato, la Procura di Trieste ha chiesto al giudice per le indagini di poter effettuare un incidente probatorio per sottoporre a indagine genetica alcuni reperti tra gli oggetti sequestrati nell’ambito delle indagini sugli attentati attribuiti a Unabomber per verificare se sia possibile identificarne il o i responsabili. La richiesta è stata formulata dal pm Federico Frezza e che nel fascicolo risulta indagata “una persona la cui attendibilità appare problematica ed è tutta da verificare” e altre nove, cioè “tutti coloro che avevano rivestito tale posizione nel corso dei procedimenti avviati all’epoca dalla stessa Procura”. Il procuratore capo, Antonio De Nicolo, ha precisato in una nota che “nei confronti di nessuna delle dieci persone menzionate nella richiesta d’incidente probatorio come ‘persone sottoposte a indagine sono stati acquisiti elementi tali da consentire di convogliare le investigazioni in una precisa direzione: sarà l’accertamento genetico, sperabilmente, elementi utili a tal fine”. Le persone che erano state coinvolte in passato sono state iscritte nel registro degli indagati per evitare di incappare in questioni di nullità o di inutilizzabilità. Le loro posizioni, comunque, all’epoca, erano state tutte archiviate. De Nicolo inoltre sottolinea che per tutte e dieci gli indagati, fino al termine dell’accertamento ogni “frettolosa attribuzione di responsabilità” sarebbe una “gratuita illazione”.
La riapertura era stata decisa dopo l’istanza presentata dal giornalista Marco Maisano e da due donne vittime di Unabomber, Francesca Girardi e Greta Momesso. Maisano, insieme a Ettore Mengozzi e Francesco Bozzi, aveva lavorato per mesi alla realizzazione di un podcast proprio su Unabomber. Visionati i reperti del caso, custoditi al porto di Trieste, il giornalista aveva trovato un capello bianco su un uovo inesploso che era stato acquistato da un uomo di Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, in un supermercato di Portogruaro nel 2000. Oltre a questo, altri due reperti organici, capelli e peli, erano stati recuperati da un ordigno inesploso trovato in un vigneto, a San Stino di Livenza, Venezia. L’ipotesi è che, con i progressi fatti dalla scienza negli ultimi 16 anni e con la banca dati del Dna a disposizione, da quel materiale si possano ricavare indizi importanti per individuare Unabomber.
Il campo delle indagini è sterminato perché Unabomber ha colpito in un arco di tempo molto lungo, dal 1993 al 2006. Dapprima lasciava tubi in ferro imbottiti di esplosivo, in spiaggia, lungo una strada, in una vigna. Poi però – ammesso che l’autore sia sempre stato lo stesso – ha cominciato a imbottire oggetti di uso comune: un uovo in un supermercato, un evidenziatore abbandonato su un greto del fiume, un ovetto Kinder, una scatola di sgombri. Ma c’è anche spazio per una vera bomba dentro un bagno del Tribunale di Pordenone, il palazzo di giustizia che all’epoca indagava su alcuni degli episodi. Il movente è sempre rimasto incerto. Sicuramente si è trattato di una sfida e un gesto di rivalsa, le vittime erano sempre persone qualunque, veniva lasciato al caso scegliere chi avrebbe afferrato l’oggetto che gli sarebbe esploso in mano o in faccia. A tratti, però, Unabomber ha alzato il livello dello scontro, puntando contro le istituzioni che gli davano le caccia e contro il sistema dei consumi (colpiva nei supermercati…).
Che traccia può tornare utile all’inchiesta? L’avvocato Maurizio Paniz assisteva l’ingegnere Elvo Zornitta, bellunese abitante ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, che venne indagato, ma poi la sua posizione fu archiviata non essendo emersi elementi neppure per avanzare una richiesta di rinvio a giudizio. “Sono felice come cittadino che si possa indagare ancora, come ho chiesto più volte, per arrivare all’individuazione del responsabile o dei responsabili – aveva detto il legale – Però da allora è trascorso molto tempo e non ci sono prove nuove che siano emerse”. La possibilità di analizzare il capello trovato su un uovo, qualche traccia di saliva… “Per quanto ci riguarda, quei reperti vennero tutti confrontati con il Dna dell’ingegnere Zornitta e per nessuno fu accertata una compatibilità. Nel frattempo è stata istituita la banca dati del Dna, ma temo che sarà difficile trovare riscontri”. Dopo l’archiviazione di Zornitta venne indagato e processato il poliziotto Ezio Zernar, che collaborava con il Centro indagini criminologiche della Procura di Venezia. Secondo l’accusa aveva alterato una prova, tagliando con una forbice di Zornitta, un lamierino che faceva parte di un ordigno inesploso di Unabomber. Poi aveva comparato forbice e tracce del taglio sul lamierino per stabilire, con il metodo dei toolmarks, che vi era una corrispondenza. La classica prova principe che avrebbe incastrato Zornitta, attaccandovi tutti gli indizi raccolti da un pool creato appositamente per individuare Unabomber che stava seminando il terrore nel Nordest. La difesa di Zernar aveva però scoperto la manipolazione.