L’Italia futura deve costruire un’economia nazionale del benessere. Non è un’utopia, ma una azione concreta che vede tra i primi protagonisti del mondo la Scozia, la Nuova Zelanda, l’Islanda, il Galles e la Finlandia nella Wellbeing Economy Alliance insieme ai cittadini e tanti governi locali. L’Italia può diventare la prima nazione del G7, e tra le prime 20 economie del mondo, ad abbracciare un progetto di sviluppo così ambizioso. Scegliere il modello di una società del benessere non materialista ma sostanziale, che rende le nostre esistenze piacevoli e soddisfacenti, piene e profonde dal punto di vista psicoemotivo e di qualità della vita, è anche l’unica strada che può sconfiggere le disuguaglianze e trascinarci sani e salvi fuori da questo secolo delle devastazioni ambientali.
La Nuova Zelanda è già al suo quarto anno di elaborazione e realizzazione di un budget per il benessere. Ogni ministro riparte e programma i propri fondi in funzione degli obiettivi di benessere da raggiungere e questi ora sono analizzati nel primo rapporto neozelandese sul benessere nazionale. In Italia nella XVIII legislatura abbiamo provato a inserire la parola benessere nella nostra Costituzione come valore educativo e sociale perseguendo il benessere come valore fondante della nostra società. Non ci siamo riusciti, ma il percorso è tracciato e ci torneremo in questi anni.
La strada di un profondo benessere non può avere solo dimensioni nazionali, ma si costruisce attraverso dimensioni di comunità locale e anche individuale cambiando i nostri stili di vita. Queste azioni di cambiamento non possono fare a meno l’una dell’altra. Il 27 giugno del 2022 l’Emilia-Romagna e la Lombardia, con il rapporto WeWorld, hanno deciso di mappare il raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’agenda 2030 dell’Onu, con un focus sui processi delle comunità locali che prevedono il coinvolgimento della cittadinanza.
Secondo il Sustainable development report 2021, 6 obiettivi su 10 non saranno raggiunti senza un coinvolgimento dei governi locali. È dunque richiesto un protagonismo senza precedenti agli stakeholder attivi sui territori, ai governi delle città, ai sindaci e bisogna misurare i risultati con indicatori appositi e promuovere il coordinamento tra gli enti amministrativi adottando una governance multilivello. Tutto questo si fa con i bilanci regionali, provinciali e comunali e ci potremmo adeguare con i fondi del Next generation Eu. Pochissime sono le città che monitorano gli indicatori attivamente e solitamente ne sono più capaci quelle molto grandi, anche perché raccogliere e processare dati, per poi usarli per indirizzare la politica della città, è complesso ma anche fuori dal nostro modello culturale.
La città di Barcellona è un esempio positivo e il suo portale sugli obiettivi è un esempio per tutti. I cittadini possono soffermarsi e approfondire ognuno degli obiettivi da raggiungere. La cancellazione della povertà estrema da primo obiettivo dell’agenda 2030 dell’Onu diventa un insieme di azioni realizzate in città da monitorare nel tempo. Lo stesso ha fatto la città di Bristol in collaborazione con l’università e l’istituto nazionale di statistica, che introduce una interazione spinta con i cittadini che possono quotidianamente esprimere il loro livello di soddisfazione.
Amsterdam, seguita da Bruxelles e Copenaghen, sta invece abbandonando il sistema economico fondato sul profitto, consumo e crescita utilizzando i principi della “Economia della ciambella” dell’economista Kate Raworth. Si sposano così le novità scientifiche dell’economia comportamentale, ecologica, femminista e delle scienze della Terra. Un’economia che rigenera i sistemi naturali e redistribuisce risorse all’interno dei limiti naturali. Se tutto questo accade e si diffonde, allora si ridefinisce nei fatti il concetto di crescita e di sviluppo e si apre lo spazio per una nuova società e politica del benessere. In Italia non sta ancora accadendo.