Editori e autori potranno chiedere alle piattaforme come Google e Facebook un compenso per i contenuti informativi che distribuiscono online: fino al 70% dei ricavi pubblicitari derivanti dall'utilizzo delle pubblicazioni (al netto dei ricavi legati al traffico di reindirizzamento generato sul sito). Se in 30 giorni le parti non riescono a trovare un accordo possono rivolgersi all'authority, che deciderà entro 60 giorni. La commissaria che ha votato contro prevede "una lunga stagione di contenziosi"
A più di un anno dall’entrata in vigore del decreto che ha recepito in Italia la direttiva europea del 2019 sul copyright, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato con il solo voto contrario della commissaria Elisa Giomi il regolamento per l’equo compenso per le pubblicazioni giornalistiche in rete. Il testo era molto atteso perché in gioco ci sono cifre che possono cambiare il destino delle imprese editoriali: secondo l’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, nel 2022 il mercato italiano della pubblicità digitale valeva 4,4 miliardi di euro, l’80% dei quali è stato intercettato dai maggiori player internazionali attraverso motori di ricerca e social network.
Cosa cambia ora? Che editori e autori potranno chiedere alle piattaforme come Google e Facebook un compenso per i contenuti informativi che distribuiscono online. All’editore andrà una quota dei ricavi pubblicitari derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni (al netto dei ricavi legati al traffico di reindirizzamento generato sul sito) che potrà arrivare fino al 70%. La percentuale sarà stabilita, come deciso dal governo Draghi quando ha recepito la direttiva Ue, in base al numero di consultazioni dell’articolo, all’audience online dell’editore, al numero di giornalisti impiegati (con contratto collettivo nazionale di categoria), ai costi sostenuti per investimenti tecnologici e infrastrutturali e agli anni di attività dell’editore. L’Autorità valuterà anche “adesione e conformità” a codici di autoregolamentazione e standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking. Parametri che l’Antitrust aveva criticato, ritenendo che possano determinare “improprie discriminazioni a sfavore degli editori nuovi entranti e di dimensioni minori, favorendo ingiustificatamente gli editori incumbent”. Se le parti non troveranno un accordo entro 30 giorni, comunque, potranno rivolgersi all’Agcom, che entro 60 giorni indicherà quale delle due proposte è conforme ai criteri stabiliti dal regolamento oppure indicherà d’ufficio la cifra.
Sia Raffaele Lorusso, segretario generale del sindacato unitario dei giornalisti (Fnsi), sia Andrea Riffeser Monti, che guida la federazione degli editori (Fieg), hanno commentato con favore l’approvazione perché “sarà finalmente possibile, anche nell’ecosistema digitale, avviare e concludere negoziazioni eque, garantendo il dovuto riequilibrio nella distribuzione del valore del prodotto, senza pregiudicare la libera espressione degli utenti della Rete”, secondo Monti. Di diverso avviso la commissaria Giomi, indicata dal Movimento 5 Stelle. Secondo la sociologa che insegna a Roma Tre “è un’occasione persa per favorire finalmente un punto di equilibrio tra editori e piattaforme, protagonisti di un racconto troppo spesso polarizzato”. Perché “non tutela adeguatamente gli editori e al contempo impone oneri sproporzionati alle piattaforme, ostacolando anziché facilitare le negoziazioni tra le parti”.
Giomi è critica anche sulle modalità di calcolo del compenso in caso di mancato accordo: è previsto “un metodo rigido basato su quanto le piattaforme guadagnano dalla pubblicità online sui contenuti giornalistici”, mentre “il prezzo dovrebbe farlo chi produce quei contenuti, cioè gli editori, e la trattativa partire da questo. E’ come se, entrando in un negozio, ci venisse richiesto di pagare un certo articolo in base a quanto guadagniamo invece che in base al prezzo richiesto dal venditore, come avviene di norma”. Con il paradosso che “se le piattaforme dovessero utilizzare i contenuti giornalistici senza prevedere spazi pubblicitari”, i loro guadagni “sarebbero nulli, quindi, secondo il modello prodotto da Agcom, potrebbero continuare a sfruttare quei contenuti senza tuttavia dover corrispondere alcun compenso agli editori”. Inoltre il modello stabilito dal regolamento “sembra assumere la forma di ‘tassa’ arbitraria applicata ai ricavi” delle piattaforme: “Il massimo del 70% cui può arrivare il compenso agli editori è stabilito senza alcuna ratio ed è comunque molto distante dagli accordi presi tra editori e piattaforme in altri paesi, come emerso dalla cosiddetta ‘consultazione pubblica’ in cui sono stati ascoltati gli uni e le altre, consultazione che avevo proposto al Consiglio di rendere pubblica”. Il risultato rischia di essere “una lunga stagione di contenziosi tra le parti e tra queste e l’Autorità”, aggiunge la commissaria. “Sarebbe invece stato utile un Regolamento che, rispettando appieno il dettato normativo e l’intenzione del legislatore, favorisse la negoziazione in buona fede tra le parti con il fine di raggiungere un accordo equo. Nei paesi in cui la regolazione è più elastica, il mercato raggiunge un suo equilibrio senza interventi del regolatore e le esperienze sono di successo”.