di Margherita Zappatore
Eva Kaili scopre che in carcere si vive in condizioni disumane. Lo scopre sulla sua pelle da detenuta. Denuncia di essere stata vittima di tortura perché lasciata al freddo e senza possibilità di lavarsi, di essere vittima di maltrattamenti da “Medioevo”.
Quello che le è stato riservato, però, non è un trattamento di sfavore. Quello che oggi denuncia con grande stupore è quanto subiscono i detenuti nelle carceri ogni giorno da anni, in Belgio come in Italia. E lei, da eurodeputata ed ex vicepresidente del Parlamento europeo, lo avrebbe dovuto sapere e lo avrebbe dovuto combattere proprio in nome di quei diritti umani e di quella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo che oggi richiama.
Che nelle carceri i detenuti vivano nella maggioranza dei casi condizioni degradanti, che rendono la detenzione intollerabile e che ostano alla rieducazione, non è una novità. E nemmeno gli istituti penitenziari italiani ne sono immuni. Secondo un rapporto di Antigone del 2021, in metà delle celle manca l’acqua calda e la doccia. In un terzo dei casi, i detenuti vivono con meno di tre metri quadrati a testa di spazio calpestabile. In 15 carceri, inoltre, non c’era il riscaldamento e in 5 il wc non era in un ambiente separato rispetto al luogo dove i detenuti dormono e vivono.
A pagare le conseguenze di questa situazione non sono solo i detenuti, ma anche l’intera comunità. Condizioni detentive degradanti e disumane ostano alla rieducazione e alla risocializzazione del condannato, costituzionalmente garantite, e incidono sul tasso di recidiva che, in tal modo, non può che aumentare. Più recidiva, poi, si traduce in più costi per lo Stato e più insicurezza.
Mi dispiace per quello che la Kaili sta vivendo, non come politica, ma come essere umano al pari di tanti altri detenuti. Al contempo, però, sono molto amareggiata. Le sue denunce contro le condizioni carcerarie arrivano troppo tardi e sono la fotografia di una politica sempre più lontana dagli ultimi e sempre più a caccia di consensi. E questo condiziona l’agenda politica dei partiti che scelgono attentamente le battaglie che possono garantire loro un ritorno mediatico. Va da sé che rendere umane le condizioni di detenzione dei condannati non sia tra le proposte all’ordine del giorno. Anche perché, del resto, non porta voti o facili consensi.