L’Italia descritta come la Danimarca e i pubblici ministeri come una specie di associazione a delinquere. E’ incredulo Gabriele Paci, il procuratore capo di Trapani, territorio in cui è nato, cresciuto, regnato il boss Matteo Messina Denaro. Quando il cronista della Stampa gli riferisce le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio sembra non credere alle sue orecchie: “Davvero ha detto così? Mi pare che il dibattito stia scivolando su luoghi comuni”. I presunti eccessi nell’uso delle intercettazioni, l’accusa di “vedere la mafia dappertutto”: le uscite sguaiate del guardasigilli durante il suo intervento programmatico alla Camera rappresentano un innalzamento del livello di guardia nel dialogo tra governo e magistratura.
“Vedete la mafia dappertutto”, ha detto Nordio rivolto in Aula all’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, ora deputato con i 5 Stelle. Allora, è stato il ragionamento del ministro, se la mafia è ancora forte, significa che l’antimafia ha fallito. Si sente un fallito?, domanda la Stampa al procuratore di Trapani: “Perché non abbiamo eliminato fenomeni criminali radicati da un secolo e mezzo? Abbiamo non solo neutralizzato la cupola stragista, ma chiuso le scuole di formazione dei nuovi quadri. Impedendo che un nuovo Messina Denaro crescesse “sulle mie ginocchia”, come diceva Riina. Per farlo, abbiamo tagliato l’erba ogni giorno, con la legislazione antimafia. Ora per qualcuno il tagliaerba non serve più”. Paci è stato pm alla Direzione antimafia di Palermo e procuratore aggiunto a Caltanissetta dove ha condotto le inchieste sull’ex giudice Silvana Saguto e l’ex presidente regionale di Confindustria Antonello Montante oltre alle indagini sulle stragi mafiose del 1992.
A proposito di diffusione della criminalità organizzata e della sua infiltrazione nel tessuto sociale, Paci racconta di non essere sorpreso dalla copertura data dal territorio al superlatitante per trent’anni: “Questa è Trapani – dice – Una roccaforte, se la definizione non risultasse ormai perfino patetica”. Il magistrato la definisce “un paradiso fiscale” per i corleonesi, paragona Trapani al Lussemburgo, compreso il coinvolgimento di “banche, finanziarie e prestanome”. “Riina – continua Paci – passava le estati tra Mazara e Castelvetrano, investiva in terreni e immobili. Si appoggiò ai trapanesi per vincere la guerra di mafia contro i palermitani, incoronando il fedelissimo padre di Messina Denaro, don Ciccio, come capo provinciale”. Eccola, insomma, la “mafia dappertutto” che Nordio contesta, che oggi si è trasformata nell’aspetto ma perpetua i meccanismi sociali e criminali. “I cadaveri per strada sono firmati Cosa Nostra. Ma oggi non ci sono più cadaveri per strada, la mafia fa affari – sottolinea il procuratore Paci – Tutto passa dai nuovi strumenti di comunicazione. Per questo le intercettazioni sono imprescindibili per corruzione e reati economici”.
E così arriviamo al secondo argomento, le intercettazioni, sulle quali il ministro guardasigilli ha promesso una “rivoluzione copernicana” perché “costano troppo”, non risparmiando una serie significativa di strafalcioni come quella per cui “i mafiosi non parlano al telefono”. Si fanno troppe intercettazioni, chiede la Stampa al procuratore di Trapani? “Rispetto a quale parametro?
In Inghilterra hanno un Messina Denaro? In Danimarca hanno visto saltare per aria un’autostrada per ammazzare un giudice? – risponde – Dovrebbe vedere gli sguardi dei colleghi stranieri quando racconto che a Gela lavoravo su due famiglie di Cosa Nostra, due articolazioni della Stidda, una fazione di fuoriusciti. Cinque clan per 70mila abitanti“. Sul tema della spesa Paci ricorda che “un corretto conto economico dovrebbe sottrarre il valore dei beni confiscati grazie alle intercettazioni e dare un valore ai crimini scongiurati” ed eventualmente “lo Stato potrebbe comprare le strumentazioni, anziché affittarle dai privati. Sarebbe meno caro e più sicuro”.
Nordio vuole intervenire contro i cosiddetti “abusi”? “Quali? Quanti? Si è violata la legge? – si chiede il procuratore di Trapani – Ha gli strumenti per accertarlo e, nel caso, intervenire”. E se si parla delle pubblicazioni sui giornali bisogna distinguere le conversazioni private da quelle che riguardano le accuse nel processo. Il procuratore Paci non nega errori, che dipendono anche dalla preparazione e dall’organizzazione. “Accumuliamo una mole impressionate di dati sensibili. Non siamo attrezzati per gestirli adeguatamente”. Ma “attenzione a non buttare il bimbo con l’acqua sporca” precisa ancora il magistrato, laddove l’acqua sporca è la corruzione, che è “radicata” e “priva la collettività di denaro e servizi”. E senza intercettazioni le possibilità di scoprirla sono “nulle”, aggiunge Paci: “Sembra che le intercettazioni siano un capriccio dei pm che giocano a spiare le persone. Veniamo trattati come un’associazione a delinquere”. “Se la politica vuole elevare la privacy a valore assoluto, a scapito di ogni esigenza di sicurezza collettiva, lo dica. La privacy è più importante della corruzione? Ne prenderemo atto. Ma sia chiaro che significa chiudere gli occhi di fronte a una radicata realtà criminale”.