di Carlo Zannini
Certo imbrattare opere d’arte è una cosa deplorevole, anche se con vernici facilmente lavabili e senza provocare danni. Si sono chiamati “Ultima Generazione”, non un nome a caso. Basta guardarsi intorno: non c’è giorno che non ci giunga notizia da qualche parte del mondo di un disastro ambientale, cicloni di inaudita violenza, siccità e incendi che bruciano migliaia di ettari e migliaia di persone costrette ad abbandonare le loro case, grandinate con chicchi grossi come arance, alluvioni improvvise che fanno molte vittime e così via: la lista è lunghissima. No, non chiamiamoli disastri naturali. Hanno poco di naturale, se non che sono fenomeni innescati dalla nostra arroganza, insipienza, voracità, bramosia di accaparramento, egoismo. Non ce ne frega niente nemmeno dei nostri figli e nipoti, appunto di quell’ultima generazione che sarà vittima della nostra insensatezza.
Sì, saranno loro a pagarne il prezzo più alto, quando dovranno vivere e soffrire in un mondo ostile che noi gli stiamo apparecchiando. Ci riempiamo la bocca di slogan infantili come “transizione energetica”, ma sono solo parole quando il tempo non c’è e si rimandano i fatti ad anni a venire. Il tempo non c’è e non ci accorgiamo che ci stiamo anche segando il ramo su cui siamo seduti, perché già ne stiamo pagando le conseguenze. Rubiamo il futuro ai nostri figli e nipoti che diciamo di amare sopra ogni cosa, ma solo per i nostri siamo disposti a ogni sacrificio, per farli studiare e creare loro un avvenire. Stolti: poi magari ce ne freghiamo se dovranno vivere in un mondo senza acqua potabile e magari dovranno fare i migranti climatici in lotta con altri per un sorso d’acqua.
Sì, urliamo per loro la richiesta di galera, porci imbrattatori di opere d’arte, ma sappiate che quando sarete terra per ceci vi malediranno per le sofferenze che gli avrete provocato. Non sarebbe meglio ascoltarli, cercare di capirli, dialogare con loro e magari riflettere su quanto siamo imbecilli? Diamo giudizi senza accorgerci che sono i nostri figli e nipoti che ci stanno chiedendo aiuto, che sono nella disperazione perché si rendono conto che non c’è un pianeta di riserva e qui dovranno vivere male senza quelle agiatezze e comodità di cui noi abbiamo usufruito a loro spese.
Stolti che siamo, ci condanniamo a essere ricordati come ladri di futuro, come gli assassini del pianeta. No, non ci sto, io che non ho figli penso a loro, non voglio il loro disprezzo e le loro più che giuste maledizioni, non voglio che la “Terra” mi maledica, quando sarò terra per ceci. Voglio che mi senta parte di sé, in pace; voglio aver attraversato il mio tempo senza aver rubato il futuro di nessuno. Non pretendo che ci si ricordi di me, non ho fatto niente di speciale, ma che ci si ricordi di noi che abbiamo condiviso le loro preoccupazioni e ci siamo fermati in tempo. Perciò fermiamoci a riflettere. Basta con le richieste di galera o le manganellate alle migliaia che chiedono di non sfregiare la terra per estrarne veleno, ma ascolto e umanità. Altrimenti l’Umanità non avrà futuro.