I media spagnoli hanno dedicato grande spazio alla notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro. Sorprende la lunga latitanza, la “semplicità” dell’operazione di polizia che ha portato alla detenzione, la libertà che uno degli uomini più ricercati al mondo si è concesso in questi anni, a pochi passi da casa. Eppure, anche in Spagna, nei commissariati di polizia circolavano vecchie fototessere e identikit con possibili trasformazioni facciali del capomafia di Castelvetrano.

Operación Tiberiades: così si chiamava l’attività che ha portato la Guardia civil a collaborare con l’Antimafia italiana per svolgere indagini e pedinamenti lungo due anni, dal 2015 al 2017, alla ricerca dell’inafferrabile boss. Fonti storiche descrivevano l’imperatore Tiberio come una persona schiva, non amante delle apparizioni in pubblico, l’imbarazzo per le ulcere che disegnavano il suo viso lo avrebbe portato ad una vita più riservata. I fatti di questi giorni hanno svelato che il nome attribuito all’operazione focalizzata su Messina Denaro non era dei più appropriati. Il capomafia non aveva cambiato i propri connotati anatomici né viveva isolato in un remoto bunker di campagna.

È il foglio El Confidencial a sviscerare i dettagli. Tutto sarebbe partito da una nota proveniente dalle forze dell’ordine applicate all’ambasciata italiana di Madrid, si diceva di un “soggetto siciliano”, domiciliato nel sud della Spagna, che avrebbe dato riparo a membri del clan trapanese. Puerto Banús, a due passi da Marbella, la possibile base. “Un buen retiro” per i latitanti delle organizzazioni mafiose internazionali, lusso sfrenato, crocevia nei traffici di droga, certo lassismo nei controlli sulle grandi speculazioni edilizie, ne fanno un luogo ideale per rifugiarsi facendo affari con discrezione.

Per due anni gli investigatori spagnoli hanno pensato che Messina Denaro potesse nascondersi in Andalusia, al pari di tanti boss della camorra napoletana. Epicentro dell’indagine era il titolare, di origine siciliana, di un ristorante italiano ben frequentato (pedinamenti, intercettazioni, riscontri bancari e fiscali). In due occasioni, riferisce il quotidiano El País, la Guardia Civil ha creduto di identificare il boss di Castelvetrano in uno scatto ottenuto durante un evento celebrato nel ristorante di Marbella e durante il fermo di un soggetto fortemente indiziato, ma il test del dna risultò negativo. Tutto tenuto insieme dalla convinzione che le pochissime foto ritraenti il capomafia fossero superate da interventi di chirurgia plastica che avrebbero conferito al boss siciliano una nuova identità.

L’identikit di Messina Denaro è ora rimosso dalle bacheche dei commissariati spagnoli. Rimane, però, aperta la questione del rapporto tra la malavita italiana e il paese iberico. È troppo forte l’attrazione della criminalità italiana verso una terra accogliente, posta culturalmente come riferimento per l’America latina, con il Maghreb lì a poche miglia. Non è un caso che per molti la Costa del Sol sia diventata la “cosca del sol”, un litorale dove è possibile confondersi facilmente, sotto falso nome, tra le migliaia di italiani che lavorano onestamente facendo business con l’hashish del vicino Rif o investendo nell’immobiliare, florido settore nel quale tanti amministratori locali in passato hanno ceduto alle sirene della corruzione.

E poi due dati non irrilevanti: l’associazione mafiosa è delitto tipificato in Italia – già dagli anni 80 con la legge Rognoni-La Torre -, ma pressoché sconosciuto a tutte le legislazioni europee. Il regime penitenziario spagnolo poi è più “morbido” di quello italiano e di certo non contempla misure restrittive come l’isolamento rigido del 41 bis, cui oggi è sottoposto il boss Messina Denaro. Le mafie nostrane agiscono come una società commerciale perfettamente organizzata. La sede operativa del crimine è radicata in Italia, la succursale all’estero, dove sistemi più blandi consentono buone coperture. E spesso, proprio come accade nel mondo dell’imprenditoria, la concorrenza domestica, o meglio la lotta tra clan, è dimenticata all’estero. In terra straniera alleanze e collaborazioni fruttano di più.

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