Dopo 32 anni emergono nuovi particolari sul mancato soccorso delle vittime della strage del Moby Prince, avvenuta nel mare di Livorno la sera del 10 aprile 1991. L’elicottero che due testimoni videro volteggiare sulla scena dell’incidente – mai individuato in anni di inchieste – potrebbe avere un numero e un nome. Si tratterebbe di un velivolo di ricognizione della Marina Militare, partito durante la notte tra il 10 e l’11 aprile e rientrato alle prime luci dell’alba alla base di Luni Mare, in provincia di La Spezia. A spiegarlo a ilfattoquotidiano.it lo stesso pilota dell’elicottero che partì subito dopo dalla base con a bordo il fotografo cui si devono i primi scatti della scena dell’incidente. Mentre i familiari delle 140 vittime del traghetto attendono l’esito finale delle indagini della Dda di Firenze della Procura di Livorno – per quest’ultima la terza dopo tre decadi di assoluzioni e archiviazioni – questi nuovi particolari potrebbero entrare nel processo civile intentato allo Stato per il mancato coordinamento del soccorso delle autorità pubbliche.

Contrariamente a quanto sempre sostenuto dalla magistratura nelle due inchieste della Procura di Livorno, infatti, alle 7.20 dell’11 aprile 1991 – cioè 9 ore dopo lo schianto tra il Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo – alcune delle decine tra passeggeri e membri dell’equipaggio ancora a bordo del traghetto erano ancora in vita, benché in stato di incapacitazione per gli effetti della respirazione dei fumi dell’incendio innescato dalla collisione. Questa verità è stata consegnata alla storia nel 2018 dalla commissione d’inchiesta del Senato per bocca dei suoi consulenti medico legali: i professori Gian Aristide Norelli ed Elena Mazzeo che hanno cancellato la tesi della morte rapida sostenuta dalla magistratura. Simbolo di questa verità la storia del cameriere del Moby Prince, il 41enne Antonio Rodi, legata a doppio filo proprio con quella di tre elicotteri militari italiani – Marina Militare, Carabinieri ed Esercito – che la mattina dell’11 aprile volteggiarono sopra quanto rimaneva del Moby Prince e del suo carico umano. Fino ad oggi sono rimasti ignoti i nomi di questi velivoli e degli equipaggi: né la magistratura né le commissioni d’inchiesta sul caso li hanno mai cercati né loro si sono proposti per prestare testimonianza. Sapevamo però per certo dagli atti giudiziari che in uno di quegli elicotteri c’era un fotografo che scattò almeno nove immagini del traghetto con Rodi come soggetto. Scatti portati all’attenzione del pubblico ministero da un familiare delle vittime, Fabio Andreazzoli, che li acquisì in modo casuale e anonimo nel 1994.

Ilfattoquotidiano.it ha identificato e raggiunto quel fotografo, Antonio Centini, oggi “manager information and comunication technology dell’ambasciata italiana a Riad, in Arabia Saudita. Centini nel 1991 era nella Marina Militare che lasciò pochi anni dopo i fatti per poi entrare, dopo la vittoria di un concorso, alle dipendenze del ministero degli Esteri. “La mattina dell’11 aprile fui chiamato a casa intorno alle 6 da dei colleghi – spiega a ilfattoquotidiano.it -. Sapevano che scattavo foto e mi dissero di salire a bordo dell’elicottero ‘6-13’ della Marina Militare in partenza alle 6.50 dalla base di Luni. Eravamo solo io, pilota e copilota”. Nel suo racconto il volo arrivò sulla scena intorno alle 7.20 e il fotografo iniziò a scattare immagini del traghetto e della petroliera Agip Abruzzo. “Feci trentasei foto, per un tempo che mi pare di un paio d’ore, con i piedi a penzoloni fuori dall’elicottero – continua – e tra questi scatti poi dopo scoprii nello sviluppo che c’erano le immagini di quel corpo a poppa. Io sinceramente non me ne accorsi”.

Tra gli scatti di Centini, visionati da ilfattoquotidiano.it, c’è infatti l’epilogo di quanto accaduto ad Antonio Rodi, la cui storia è tra le più note e anche significative tra quelle delle vittime del Moby: il suo corpo arde per l’incandescenza della lamiera su cui poco prima, ancora in vita, si era adagiato. In altre fotografie scattate dall’elicottero dei carabinieri, il corpo di Rodi è mostrato integro, sdraiato a poppa con braccia aperte e gambe leggermente divaricate, a pochi metri dai resti completamente carbonizzati di un’altra vittima. Evidenze che nel 2017 hanno fatto scrivere ai consulenti medico legali della commissione d’inchiesta del Senato che Rodi in quel primo momento in cui è ritratto – tra le 7.30 e le 9 del mattino – era presumibilmente vivo, benché in stato di incapacitazione, e solo nelle due ore successive – quando Centini scatterà le sue fotografie – arriverà a subire la terribile sorte della combustione, per assenza di un soccorso risolutivo.

Rodi, nel racconto di Centini a ilfatto.it, si sarebbe addirittura mosso: “Ricordo che cambiò posizione ma non vorrei confondermi essendo passati trentadue anni – dice il fotografo -. Mi pare che comunque ci fu una differenza che qualcuno riconobbe tra come appariva nella mia foto e come appariva in altri scatti o in un filmato”. Nonostante il ricordo del fotografo l’unica comparazione nota negli atti giudiziari è quella tra i nove scatti portati da Andreazzoli al magistrato e i centoventi scatti realizzati dal fotografo presente sull’elicottero dei carabinieri – ad oggi non identificato – firmata dai medici legali Marino Bargagna e Alessandro Bassi Luciani nel 1994 e di fatto smentita dalla commissione del Senato: per i consulenti del pm non ci fu alcun movimento né alcuna anomalia e la morte di Rodi avvenne entro la mezz’ora dalla collisione, come per le vittime già carbonizzate al suo fianco la mattina dell’11 aprile.

Ilfattoquotidiano.it ha raggiunto telefonicamente anche il pilota dell’elicottero 6-13 dov’era Centini, Gennaro Del Curatolo. Nel suo racconto il volo fu disposto dall’autorità che stava coordinando il soccorso, Maridipart La Spezia cioè il Dipartimento marittimo “Alto Tirreno” e – particolare finora ignoto – sarebbe stato preceduto da un altro volo sempre disposto da Maridipart in un orario imprecisato della notte tra il 10 e l’11 aprile. Forse l’elicottero che Susanna Bonomi, una testimone che all’epoca abitava in una zona sul lungomare, indicò sulla scena al magistrato poco dopo l’incidente e che l’avvisatore marittimo Romeo Ricci dichiarò (alla Rai, nel 1991) di aver visto passare sulla sua torretta a pochi passi dall’imboccatura del porto di Livorno. “Noi del nucleo piloti eravamo il braccio operativo del dipartimento (Maridipart, nda) per il soccorso in mare – prosegue Del Curatolo -. Maridipart coordinava, ha vagliato e autorizzato il nostro volo di soccorso e siamo partiti alle prime luci dell’alba. A quanto ricordo al ritorno del primo elicottero che fece la ricognizione di notte. Di sicuro di questi voli c’era traccia nei registri di volo”.

Nel racconto di Del Curatolo la situazione che trovarono nella rada di Livorno quell’11 aprile 1991 è antecedente gli scatti di Centini, che ritrasse quindi soprattutto le ultime fasi. “Orbitammo in zona, intorno al traghetto e alla petroliera per vedere se c’era qualcuno in mare ma non c’era niente da fare, il traghetto non aveva più fiamme, ma aveva tutta la vernice arsa – chiarisce – e una volta riferito a Maridipart il tutto, ci fecero rientrare”. Vi accorgeste di Antonio Rodi? “No – precisa l’ex pilota della Marina Militare – sinceramente se questa persona fosse uscita in quel momento lo avremmo soccorso o anche solo se avessimo notato una persona esanime ma integra, sicuramente saremmo scesi a soccorrerlo”.

La testimonianza di Centini e Del Curatolo non è mai stata raccolta dalla magistratura negli ultimi trentadue anni. “Nessuno prima di oggi ci ha mai chiesto di quel volo e di quanto abbiamo visto – spiega ancora a ilfattoquotidiano.it l’ex pilota -. La stessa produzione di quelle fotografie è stata una particolarità legata al fatto che Antonio era un appassionato e portò con sé la macchina fotografica. Maridipart non aveva assolutamente dato indicazione per documentare la scena”. Un dettaglio confermato da Centini: “La Marina Militare non mi ha mai chiesto quegli scatti, né la magistratura mi ha mai cercato per avere i negativi o ascoltare cosa avevo visto”.

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