“Dottore sono convinto che per il 2023 il nostro fatturato crescerà del 15%. Lei che ne pensa?”. Gennaio è il mese delle predizioni. Non previsioni, ma profezie che svelano la convinzione comune, ma fondamentalmente errata, che chi si occupa di budgeting faccia dei presagi.
Non vi dico, poi, quale meccanismo psicologico si sviluppa negli imprenditori quando ne indovinano una, non considerando che dopotutto anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno: un mondo intessuto di miti e superstizione. Quello in cui viviamo è, invece, un mondo decisamente diverso, in cui le certezze sono poche. Nulla è preordinato e quello che facciamo nel presente determina ampiamente il corso futuro degli eventi, in modo spesso inaspettato.
Il ruolo di chi si occupa di previsioni nel mondo reale è molto diverso da quello del veggente della mitologia. La predizione ha a che fare con la certezza del futuro; la previsione va alla ricerca di correnti sotterranee nel presente che indichino possibili cambiamenti che investiranno aziende, società e il mondo in cui viviamo. Questo significa che l’obiettivo principale della previsione è quello di individuare una gamma completa di possibilità e non un fascio limitato di certezze illusorie.
Gli eventi dell’11 settembre, ad esempio, sono stati una sorpresa maggiore di ciò che avrebbe dovuto essere. Dopotutto, la possibilità di attentati compiuti scagliando un aereo contro dei monumenti era già emersa nei libri di Tom Clancy negli anni Novanta e tutti sapevamo che i terroristi nutrivano una particolare antipatia per il World Trade Center. Allora, perché sono stati una tale sorpresa?
Cosa possono fare gli imprenditori per evitare di rimanere ciechi di fronte a possibili evenienze analoghe? Siano esse cambiamenti radicali di mercato o l’emergere apparentemente improvviso di tecnologie con caratteri fortemente innovativi.
Partiamo da un assioma: al contrario di una predizione, una previsione deve seguire una sua logica. È questo che fa uscire la previsione dall’oscuro regno della superstizione. Chi fa previsioni deve riuscire ad articolare e a difendere questa logica. Ciò significa che il fruitore finale di una previsione (l’imprenditore) deve anche conoscere a sufficienza il processo e la logica che l’hanno generata, in modo da poter decidere in piena autonomia della sua qualità e valutare correttamente le opportunità e i rischi che presenta.
Il “consumatore” attento di una previsione non deve essere un osservatore esterno e ingenuo, bensì un partecipante attivo e, soprattutto, critico. Solo in tal modo riuscirete a distinguere chi fa previsioni da tutta la schiera di veggenti e profeti vari. Da dove partire?
Il compito di chi fa previsioni è quello di mappare le incertezze, perché in un mondo in cui le azioni che compiamo oggi influiscono sul futuro, l’incertezza rappresenta un’opportunità.
Quando vi trovate a dover prendere decisioni arriva sempre un momento in cui dovete affidarvi alla vostra intuizione e alla vostra capacità di giudizio. In un mondo dominato dall’incertezza, questa è una cosa che non si può evitare. Una previsione efficace, però, deve fornire un contesto di riferimento che dà forma all’intuizione. Deve rivelare possibilità trascurate e portare alla luce convinzioni non verificate sui risultati attesi aumentando il vostro livello di conoscenza delle possibilità e restringendo, contemporaneamente, lo spazio decisionale entro il quale vi sarà possibile esercitare la vostra intuizione.
Occorre, in sintesi, simulare uno scenario che oggi non esiste e non fare, così come di solito avviene per i piccoli imprenditori, il semplice esercizio di immaginarsi un domani uguale a ieri. Come? Provate a mappare tutte le vostre incertezze e a metterle in un imbuto immaginario.
Immaginate di trovarvi nel 1997. La Toyota Prius è stata appena stata immessa sul mercato in Giappone e voi state cercando di prevedere che mercato futuro potrebbero avere le vetture ibride nel mondo. Fra i fattori incerti di cui tener conto potrebbero esserci l’andamento futuro del prezzo del petrolio oppure l’atteggiamento dei consumatori nei confronti dell’ambiente (un tema, all’epoca, che suscitava ancora poca sensibilità), così come fattori più generali come i trend economici.
Ma all’interno dell’imbuto potrebbero trovare posto altri elementi di incertezza, come la possibilità che emergano tecnologie concorrenti oppure la crescente preferenza dei consumatori per le auto di piccole dimensioni (le city car non erano ancora così diffuse). Sul bordo dell’imbuto potrebbero trovar spazio incognite come gli attacchi terroristici o l’eventualità di una guerra in Medio Oriente (ricordiamoci che siamo nel 1997).
Ebbene, nella mia esperienza raramente ho incontrato imprenditori che disegnano un imbuto grande ricco di incertezze. Tracciare un imbuto troppo ristretto è peggio che tracciarne uno troppo ampio. E’ vero che un imbuto ampio aumenta le incertezze, ma l’incertezza è un’amica, dato che, come sanno tutti quelli che si occupano di management, va a braccetto con l’opportunità (e non con la scaramanzia).
L’imbuto può sempre essere ristretto con successivi aggiustamenti. Una buona previsione, infatti, è sempre un processo di affinamento progressivo. Il fatto di definire un imbuto inizialmente ampio aumenta al massimo la vostra capacità di fare ipotesi sui risultati possibili e su reazioni future. Un imbuto troppo piccolo, viceversa, vi espone a spiacevoli sorprese del tutto evitabili. Peggio ancora, può portarvi a non cogliere le opportunità migliori che si affacceranno al vostro orizzonte.
L’arte delle previsioni consiste nel riuscire a distinguere, all’interno dell’imbuto, con grande precisione ciò che è altamente improbabile da quello che è del tutto impossibile. Ma questo è un altro discorso e le battute a disposizione sono terminate.