Un fiore reciso fra le mani, le crinoline bianche, le piume a ventaglio, gli occhi truccati da teatro e le lacrime di sangue. Ma anche le tutine di lurex come seconda pelle o la raffinata gorgiera (il colletto pieghettato) che ricorda la Regina Elisabetta I Tudor.
Se pensate che il primo a calarsi nello stile genderless più trasformista ed eccentrico nel mondo dello spettacolo
sia stato il cantante Achille Lauro, e lo sarà Rosa Chemical al prossimo Festival di Sanremo, vi sbagliate.
In principio c’era Lindsay Kemp, il grande artista inglese multiforme, uomo e donna insieme, a cui a quattro anni dalla morte è dedicato il nuovo libro fotografico “Lindsay Kemp Stop Time!” (Anthelios edizioni) con testi di David Haughton e immagini di Angelo Redaelli. Chi è Lindsay per tutti? E’ l’artista totale che negli anni ’70 e ’80 porta in giro, fra scandali e trionfi, il suo lavoro più rivoluzionario: “Flowers”, da Jean Genet. E l’essere più istrionico e onirico della scena di allora. Ed ecco perché David Bowie lo vuole, con la sua compagnia, nello spettacolo live di Ziggy Stardust nel 1972. La strada del theater e glam rock è tracciata. Due anime affini, quella di Kemp e del Duca Bianco. Con un senso dell’arte condiviso e anche un sentimento, consumato in gioventù quando il cantante prendeva lezioni di teatro danza da Kemp a Londra. Anche Kate Bush volle Lindsay Kemp per il video del suo più grande successo. Lui è in smoking nero e lei in scarpette da ballo rosse.
Il pop e il rock avevano il batticuore per Kemp. Non solo per le sue trasformazioni estreme sul palcoscenico: slinguava con un serpente vivo in scena, si vestiva da Violetta della Traviata e moriva d’amore, da Regina d’Inghilterra maneggiava il potere e da Pierrot sbalordiva del suo stesso sbalordimento. Lo amavano perché era davvero capace di trasfigurarsi, da angelo a diavolo, nei suoi spettacoli. Maschile e femminile, ironico e tragico: “Quello che voglio fare – diceva Kemp – è restaurare il glamour delle Folies Bergère, il pericolo del circo e la cerimonia della morte”. Alessandro Michele, l’ex direttore artistico di Gucci che ha vestito Achille Lauro, deve per forza averlo visto.