È tornata anche quest’anno la Settimana della Memoria, che culmina il 27 gennaio, Giorno della Memoria. E anche quest’anno noi di Convivere con Auschwitz, trascinati da Gianni Peteani, abbiamo preparato il nostro bell’evento, il nono, in convenzione fra Stazione Rogers e Università di Trieste. Si tiene martedì 24 dalle 15 alle 18, s’intitola La costruzione dell’odio e presenta due novità.

Intanto, l’edizione è soprattutto digitale: basta collegarsi in streaming sui canali Youtube e Facebook di www.stazionerogers.org. Poi, questo Convivere si tiene nel 2023, anno segnato, per l’Europa, dall’invasione russa dell’Ucraina, e per l’Italia dal primo governo di destra-destra della storia repubblicana.

Entrambe le novità, in modi diversi, rischiano di sfigurarla, la Memoria. La digitalizzazione, che i suoi guru pensavano avrebbe diffuso conoscenza, democrazia e pace nel mondo, sta producendo l’esatto opposto. In effetti, che ragione c’è di ricordare, imparare la storia o la geografia, persino studiare? C’è già tutto in rete, basta andare su Wikipedia o Google Maps. Ormai ragionano così non tanto i nativi digitali o la generazione Z, che sta imparando a proprie spese a non fidarsi dei propri cellulari, quanto i boomers o peggio i cinquantenni, che trovano in Internet una giustificazione bell’e pronta per l’analfabetismo di ritorno.

Del resto, Internet s’è limitata ad accelerare processi preesistenti. All’inizio dei Novanta, un sondaggio già mostrava che una percentuale considerevole di ragazzi attribuiva la bomba fascista di piazza Fontana (1969) alle Brigate Rosse. Eppure, la differenza avrebbe dovuto essere chiara: i terroristi di sinistra gambizzavano, ammazzavano e rivendicavano, quelli di destra mettevano le bombe nelle stazioni. Oggi ha lasciato basiti l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” della tizia che a Predappio ha esibito la maglietta con la scritta “Auschwitzland”. Ma perché condannare per apologia del fascismo lei e non le altre migliaia di poveretti che ogni anno vanno in pellegrinaggio a Predappio?

Inutile girarci attorno: la particolarità della Memoria 2023 non è tanto il digitale, che ormai pervade ogni àmbito della nostra vita, ma la politica, o quel che ne resta. Perché la sinistra vecchia (il Pd) o nuova (il partito di Conte) non ha neppure provato a demonizzare la destra-destra di Giorgia Meloni, salvo poi fingere di indignarsi per i primi provvedimenti da urlo (le nomine di La Russa, Fontana e Nordio, i decreti anti-rave e anti-Ong)? Semplice, perché demonizzare sarebbe stato inutile.

Escono ogni giorno, specie per la Settimana della Memoria, valanghe di libri, film, documentari sullo Sterminio, ma si perdono – non come lacrime nella pioggia (alla Blade Runner), ma come Aperol nello spritz di Luca Zaia (alla Crozza). Pensate solo al quasi 50% di voti, trentadue dei quali a Fratelli d’Italia, più della media nazionale, raccolti dal centrodestra alle politiche di settembre a Sant’Anna di Stazzema, sacrario di una delle più efferate stragi nazifasciste, con 500 morti, un centinaio dei quali bambini.

Pure qui, dov’è la notizia? I cittadini di Sant’Anna hanno solo fatto come tutti gli italiani: dopo aver votato Berlusconi, Renzi, Grillo, oggi hanno votato Meloni, e allora? Nel caso di Meloni, oltretutto, c’è anche un minimo di professionalità: a una manifestazione al Museo ebraico di Roma, la/il Presidente del Consiglio s’è pure commossa. Che è come dire: cos’abbiamo a che fare noi, settant’anni dopo, con quei cattivoni?

Dove si vede che la novità 2023 non è neppure la perdita della Memoria, fatale con Internet o senza, ma la normalizzazione o banalizzazione del fascismo, del nazismo e di tutti i totalitarismi novecenteschi. Pure lì, la spiegazione è semplice: siamo bombardati dalle immagini della guerra ucraina, le cui vittime principali sono civili come noi, ma la cosa arretra ogni giorno nei sondaggi. Per non parlare degli orrori comparabili che si compiono ogni giorno attorno a noi, in Iran, Afghanistan, Cina o altrove, e che scorrono anche loro su di noi come lacrime o Aperol.

Proprio a questa banalizzazione dell’orrore reagiamo noi di Convivere, ma a modo nostro, seguendo la nostra regola: con il pubblico si può fare tutto, salvo che annoiarlo.

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