FATTO FOOTBALL CLUB - Bisognerebbe essere onesti da entrambe le parti. Ed ammettere da un lato che la penalizzazione è sacrosanta. Dall’altro che questa decisione, per quanto necessaria, è poco credibile
Come Calciopoli. Per certi versi peggio di Calciopoli. Il paragone non l’abbiamo fatto noi, ma gli stessi dirigenti della Juventus. Vent’anni dopo il pallone italiano si ritrova in una situazione che francamente avrebbe mai immaginato di rivivere. E che, comunque vada a finire, lascerà di nuovo il sistema dilaniato, diviso tra guelfi e ghibellini, bianconeri che agitano l’assurda teoria del complotto, avversari che si abbandonano al giustizialismo. Ma dopo la stangata del tribunale federale e il -15 che potrebbe essere solo l’inizio di un’apocalisse, bisognerebbe essere onesti da entrambe le parti. Ed ammettere da un lato che la penalizzazione è sacrosanta. Dall’altro, che la giustizia sportiva non è una cosa seria e questa sentenza, per quanto necessaria, è poco credibile.
Premessa. Tutte le argomentazioni scomposte utilizzate dall’universo bianconero nelle ultime ore, che oscillano tra complottismo (“è una vendetta politica per la Superlega”), benaltrismo (“lo facevano tutti da anni”) e vittimismo (“paghiamo solo noi per degli scambi fatti con altre squadre”), non stanno in piedi. Basta documentarsi per capire che la posizione del club di Torino è significativamente diversa: perché è una società quotata in Borsa, che doveva sottostare a precisi obblighi e principi contabili che non valgono per gli altri (per intenderci, lo stesso scambio potrebbe essere un illecito per la Juve e non per l’altra squadra coinvolta), e proprio per questa ragione la Procura ha potuto intercettare i dirigenti bianconeri. Frasi come “supercazzoliamo la Consob”, “tutta la merda che sta sotto e che non si può dire”, “utilizzo eccessivo delle plusvalenze artificiali” si commentano da sole: rappresentano l’evidenza del comportamento illecito che sul sistema delle plusvalenze è sempre mancata. Per questo la Juventus è colpevole e le altre, fino a prova contraria che non c’è, no. La Juve si è condannata praticamente da sola e dovrebbe prendersela solo con se stessa.
Andava punita, insomma. Sì, ma quanto? Perché 15 punti, e non 9 come aveva chiesto la Procura, 3 oppure 25? Scopriremo nelle motivazioni in che modo i giudici federali abbiano quantificato la pena, ma l’impressione è che la sanzione sia stata stabilita “un tanto al chilo”. Come del resto lascia intuire la puerile richiesta del procuratore Chinè, per cui – come filtrato dall’udienza “la pena deve essere afflittiva, la Juventus in classifica deve finire dietro la Roma, fuori dalle Coppe Europee“. Un parametro bislacco, tanto più a campionato in corso. L’arbitrarietà alimenta i dubbi sulla giustizia sportiva. Ma del resto la giustizia sportiva non è una cosa seria. In poche ore i giudici federali si sono ritrovati a decidere se revocare la precedente archiviazione e al contempo valutare nel merito una materia complessissima, su cui ci sono oltre 10mila pagine di dossier (mentre loro fino alle 2 del pomeriggio non sapevano nemmeno quale sarebbe stata la richiesta del procuratore). E poi a decidere le sorti in classifica di una squadra, non applicando i parametri di un codice ma stabilendo la punizione come un dio severo e imperscrutabile.
Tutto questo ribadisce i limiti della giustizia sportiva, che sono strutturali. Non ha i mezzi per indagare, tanto è vero che questo processo è stato possibile solo grazie all’inchiesta della Procura ordinaria, che ha permesso di arrivare a sentenza sullo stesso scandalo che pochi mesi fa si era sgonfiato come una bolla di sapone. Deve fare i conti con i tempi brevi dello sport che però non sono quelli della magistratura (spesso la fretta fa i figli ciechi). Non ha nemmeno le norme da applicare: i giudici si sono trovati a deliberare sul principio di “slealtà sportiva”, che però più che un reato è quasi uno stato d’animo, può significare tutto e niente, e infatti nel codice è una macrocategoria che non prevede minimi o massimi edittali ma un generico rimando a “penalizzazione di uno o più punti in classifica”. Davvero troppo aleatorio per non generare sospetti: per il futuro bisognerà pensare a una riforma, introdurre delle casistiche e un “tariffario”, perché tutti sappiano chi deve pagare e per cosa. Probabilmente la situazione sarà più chiara già nel prossimo caso della “manovra stipendi”, per cui l’art. 31 del codice è più specifico e prevede precisi automatismi, se l’illecito sarà provato.
Con questa stangata il tribunale federale ha voluto dare un segnale: colpire uno per educarne cento, per stroncare un sistema che non può essere tollerato. È giustizia tutto questo? Forse no, ma sicuramente sarebbe stata un’ingiustizia al contrario. Immaginiamo cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente. Se con tutte le intercettazioni che abbiamo letto e con cui i dirigenti della Juve hanno di fatto ammesso la propria colpa, la montagna della Figc avesse partorito un topolino, e la Juve se la fosse cavata con un buffetto, qualche piccolo punto di penalizzazione senza conseguenze sul campo, mentre fuori imperversa la bufera. Quella sì che sarebbe stata la pietra tombale sulla credibilità della Figc e del pallone italiano. Già così è abbastanza compromessa.