Il quadro ricostruito dall’accusa è definito “raccapricciante”: infermieri, educatori e operatori sanitari che maltrattavano e umiliavano le pazienti psichiatriche dell’istituto “Opera don Uva” di Foggia, arrivando in più casi alla violenza sessuale, approfittando del fatto che le vittime, “a cagione delle loro condizioni psichiche e sociali, non avevano modo di chiedere aiuto o di denunciare l’accaduto a nessuno”. Ma le ipotesi di reato alla base della maxi-operazione di martedì mattina – trenta misure cautelari di cui 15 arresti – non sarebbero mai venute alla luce se le riforme che sogna il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, fossero già legge. L’indagine condotta dai carabinieri del Reparto operativo, diretti dal tenente colonnello Giuseppe Vecchia, e dai militari del Nas agli ordini del colonnello Edoardo Campora, è nata e ha potuto raggiungere i suoi risultati solo grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, che il Guardasigilli vorrebbe abolire – o comunque ridimensionare – per tutti i reati tranne quelli di mafia e terrorismo, con il pretesto dei costi troppo alti e della privacy violata. “La gran parte si fanno sulla base di semplici sospetti e non concludono nulla“, aveva sentenziato Nordio in Commissione Giustizia al Senato. Per capire perché le cose non stanno proprio così, basta scorrere l’ordinanza che motiva le misure cautelari applicate agli indagati dalla procura di Foggia, guidata da Ludovico Vaccaro. Che in conferenza stampa ha ribadito l’ovvio: “Senza le intercettazioni audio e video quest’indagine non si sarebbe potuta fare”.

Nel primo paragrafo, “Genesi e struttura dell’indagine”, la gip Marialuisa Bencivenga ricorda che a mettere in allarme gli inquirenti è stata una telefonata tra due degli operatori sanitari indagati, intercettata nell’ambito di un diverso procedimento, da cui – si legge – emergeva che un terzo operatore “avesse avuto rapporti sessuali con due pazienti di nome “Granata” e “Liliana”, entrambe ricoverate presso la struttura sanitaria in oggetto e, stando al tenore dei commenti dei colloquianti, incapaci di intendere e di volere“. A quel punto venivano chieste e autorizzate nuove intercettazioni, stavolta ambientali audio/video, all’interno di alcuni locali della casa di cura: ne veniva fuori, riferisce la giudice, “un quadro storico-fattuale a tinte fosche, inquietante, denso di degradazione e accompagnato da un disprezzo per la dignità dei pazienti ricoverati (…), tale da consentire la formulazione di un giudizio particolarmente severo, quanto al disvalore penale delle condotte poste in essere, e ad indurre l’autorità inquirente a proseguire nell’attività investigativa”. Come scriveva il pm nella richiesta, infatti, “emergeva fin da subito la gravissima situazione del reparto oggetto di monitoraggio”, e “per questo l’attività di captazione (…) veniva estesa” ad altre parti della struttura. In totale sono state installate 13 telecamere, rimaste in funzione per più di tre mesi (dal 20 luglio al 24 settembre 2022).

“Durante la fase iniziale di monitoraggio”, prosegue l’ordinanza, “le attività di intercettazione ambientale consentivano di far emergere, con indubitabile chiarezza, una molteplicità di vessazioni, angherie, sopraffazioni fisiche e psichiche le quali, accompagnate da una straordinariamente consistente mole di atteggiamenti aventi finalità degradante la dignità di uomini e di pazienti dei soggetti coinvolti, consentivano immediatamente di rilevare la commissione del delitto di maltrattamenti”. In seguito, sempre grazie alle riprese e alle captazioni audio, si scoprivano anche “vere e proprie molestie sessuali ai danni di alcune degenti, perpetrate con allusioni, offese e dialoghi a sfondo sessuale che provocavano, in alcuni casi, reazioni di timore e manifesto malessere da parte delle vittime indifese”: “Te lo devo schiattare in gola”; “Lo vuoi in bocca Antonietta?”; “Ti devo schiattare… a botte di pingone” e altre amenità. Nonché “la totale mancanza di freni inibitori di alcuni degli indagati, che sono arrivati al punto da incitare pazienti incapaci di intendere e di volere al compimento di atti sessuali, anche dinanzi ad altri pazienti”: “Va’ cacciaci il salsiccione, davanti a lei ci lo devi cacciare… bocca bocca devi andare, vai”, “Vuoi vedere come si fa? Te lo faccio vedere io? Te lo faccio vedere”.

A un certo momento, poi, gli indagati si sono resi conto dell’attività di intercettazione in corso: “Appare necessario dare distintamente conto di come, nel corso delle indagini, gli operatori della struttura abbiano progressivamente maturato il sospetto di essere sottoposti alle intercettazioni fino alla scoperta di tutte le 13 telecamere installate nel reparto”, si leggeva nella richiesta del pm. “Gli indagati, di conseguenza, a partire da un determinato momento, hanno modificato le loro condotte attenuandone – pur senza escluderla del tutto – l’aggressività. Questa considerazione è fondamentale per la valutazione dei comportamenti tenuti dopo la scoperta delle telecamere, che non possono considerarsi rappresentativi dell’aggressività abituale degli operatori del reparto, che è stata oggetto di numerosissime captazioni nella prima fase delle intercettazioni e che deve ritenersi essere stata la cifra fondamentale della gestione del reparto per tutto il tempo antecedente all’inizio delle indagini”. Se il ministro avrà successo nel suo piano di riforma, loro e i loro simili non dovranno più preoccuparsi.

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