Diritti

Farmaci bloccanti della pubertà, non garantirli vuol dire negare un aiuto a chi ne ha bisogno

Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 accogliemmo con grande entusiasmo il parere favorevole espresso dal Comitato Nazionale di Bioetica riguardo alla possibilità di introduzione nell’elenco dei farmaci somministrati, a cura e spese del Servizio Sanitario Nazionale, dei bloccanti della pubertà per ragazze e ragazzi gender variant minori d’età.

Quel parere era stato richiesto e sollecitato dalle società italiane di endocrinologia, andrologia e medicina della sessualità e dall’Osservatorio nazionale sull’identità di genere che ritenevano correttamente che quello strumento fosse in grado di evitare, a ragazze e ragazzi, fortissimi e inutili disagi derivanti da uno sviluppo non conforme alla loro identità e potesse dunque far sì che quelle ragazze e quei ragazzi non si vedessero successivamente costretti a intraprendere percorsi resi inutilmente più impervi e faticosi a seguito del compimento della pubertà.

Fin da subito quella decisione – un raggio di luce in un contesto già allora condizionato negativamente da spinte reazionarie e transfobiche – fu oggetto di attacchi pesantissimi da parte dei settori politico-culturali più integralisti e ideologizzati che oggi hanno conquistato il potere. E’ quindi doppiamente preoccupante, vista la fase politica che stiamo vivendo, che oggi quella conquista venga rimessa in discussione da un appello del presidente della società psicoanalitica italiana indirizzato alla presidente del Consiglio. E’ curioso e rappresenta un caso eclatante di fallacia logica che siano gli stessi settori che ululano periodicamente contro l’ “ideologia gender” quelli da parte dei quali si tenta di imporre posizioni che appaiono tanto più ideologiche quanto più sprezzanti, disattente e disinteressate rispetto alle vite reali e al benessere psico-fisico delle persone più giovani e dunque più fragili.

L’obiettivo pare essere soltanto quello di negare loro un aiuto, comunque soggetto a percorsi terapeutici controllati, rigorosi, non certo decisi con leggerezza dai professionisti che li somministrano, che tendono unicamente a evitare sofferenze inutili che spesso sfociano in manifestazioni di intollerabile disagio quando non in gesti estremi da parte delle ragazze e dei ragazzi coinvolti. Quanto sia tristemente ideologica una posizione di questo tipo non richiede ulteriori dimostrazioni.

E non è certo illativo immaginare che se il presidente della società psicoanalitica italiana che ha sollevato il caso scrive proprio alla presidente del Consiglio (la cui maggioranza avversa da sempre ferocemente i percorsi di affermazione di genere) per esprimere “grande preoccupazione”, stiamo assistendo a un gioco delle parti. Peraltro è lui stesso a sostenere che “pur essendo gli effetti di quei farmaci reversibili, il 98 per cento di chi ne fa uso non torna poi indietro” fornendo, forse inconsapevolmente, una certificazione, se mai ce ne fosse bisogno, che la somministrazione di quei farmaci è del tutto giustificata e risponde a una reale esigenza di quelle ragazze e di quei ragazzi che altrimenti, se lo volessero, interromperebbero quei percorsi.

Ancora una volta si aggiunge un tassello a quel disegno conservatore, restauratore, integralista che costituisce ormai da anni la cifra della destra estrema in Europa e nel mondo: non è un caso se le persone transgender sono finite nel mirino di Donald Trump, di Jair Bolsonaro, di Viktor Orban e di Vladimir Putin per citare solo i casi più eclatanti. Un disegno che in questi anni è stato svelato da più parti ed è apparso sempre più chiaro, ma che non ha impedito che anche nel nostro Paese quei settori conquistassero il potere e – una volta conquistato – usassero quelle parole d’ordine come collante del proprio elettorato.

E’ facile cadere nell’equivoco che si tratti di fatti marginali che riguardano un numero esiguo di persone: in realtà quel disegno riguarda e mette a rischio un modello di società e di convivenza che una volta smantellate sarà ben difficile recuperare. Perciò è opportuno che la politica, la società, il sindacato non sottovalutino questi segnali e operino, ognuno nel proprio ambito di appartenenza, per salvaguardare modelli sociali ampi e inclusivi e lo facciano nel dibattito pubblico, nei posti di lavoro, nella contrattazione, nelle buone prassi, nei gesti quotidiani.

Se questo non avverrà la destra avrà campo libero nel disegnare un modello autoritario che – come nella peggior tradizione dei fascismi e dei totalitarismi – parte dal controllo ossessivo dei corpi per realizzare un controllo sociale assoluto.