Perché i politici promettono cose irrealizzabili? Perché se riuscissero a ottenerle e risolvere i problemi dei cittadini, poi alla prossima elezione dovrebbero sforzarsi per promettere qualcos’altro.
Negli ultimi mesi, si è riacceso un dibattito sul ritorno all’energia atomica in Italia, con diversi esponenti come Calenda e Salvini che lo hanno sposato senza se o ma. Abbiamo assistito anche a una certa propaganda sui social da parte di chi sostiene che il nucleare sia irrinunciabile (anche in Italia) come fonte a emissione quasi zero (non è vero, se si considera tutto il ciclo produttivo) per contrastare il cambiamento climatico. La realtà è che il nucleare può avere un ruolo ma non è affatto indispensabile: ecco che cosa dicono davvero gli scienziati.
Ma quanto è realistico che si possa riavviare un programma nucleare nel nostro Paese, almeno nel medio-breve periodo? La risposta è poco o nulla. È appunto l’esempio di qualcosa di praticamente irrealizzabile con le tecnologie esistenti. Una cosa è mantenere le centrali esistenti come quelle che ci sono in altre nazioni, un’altra (e totalmente diversa) è costruirne di nuove ripartendo da zero dopo tanti anni di stop.
Basandoci su che cosa è successo negli altri paesi dell’Unione Europea che hanno costruito reattori negli ultimi 20 anni, possiamo dire che se in Italia ripartisse un programma nucleare la prima produzione di energia avverrebbe realisticamente non prima di 15-20 anni e dovremmo investire cifre dell’ordine delle centinaia di miliardi. Infine, come se costi e tempi non fossero già ostacoli di fatto insormontabili, il tutto potrebbe essere bloccato da un nuovo referendum.
Eh già. Il referendum. Come quello del 2011 che, secondo alcuni, ci avrebbe impedito di avere oggi centrali nucleari funzionanti e di combattere il cambiamento climatico. La realtà è che quel referendum ci ha permesso di risparmiare tanti soldi e uscire da un progetto problematico.
Nel 2008, il governo Berlusconi e il ministro Scajola avevano riavviato il nucleare in Italia. Era stato siglato da Enel un accordo da 613 milioni con la società francese Edf che permetteva ai tecnici italiani di svolgere tirocini presso il sito di costruzione del terzo reattore di Flamanville (Normandia), il cui avvio lavori avvenne nel 2007 e il completamento era previsto nel 2012, al costo di 5 miliardi di euro dell’epoca.
Che cosa è accaduto nella realtà? A oggi (2023, undici anni dopo la presunta data di consegna) il reattore (l’unico in costruzione in Francia) non è stato ancora terminato e i costi potrebbero aver raggiunto la cifra di 19 miliardi di euro.
La narrazione di alcuni riguardo ai numerosi problemi di Flamanville è stata che a causa degli elevati standard richiesti, “per otto saldature imperfette Edf è stata costretta a ricominciare sostanzialmente i lavori da capo”. La realtà è che ci sono stati oltre una dozzina di problemi più o meno seri.
Nel 2007 sono apparse delle crepe nella base di cemento perché erano state dimenticate alcune barre di acciaio; nel 2009 c’è stato un problema con il rivestimento metallico della parete interna del reattore; nel 2012 si è riscontrata la necessità di sostituire 46 elementi di acciaio; nel 2014 ci si è resi conto che c’era troppo carbonio nell’acciaio del reattore; nel 2017 ci sono stati i problemi con le saldature (33 in totale, in realtà), quando già si era almeno cinque anni in ritardo rispetto al cronoprogramma iniziale.
Ciascuno di questi imprevisti ha avuto un notevole impatto sui costi e i tempi di costruzione. Quello che è successo può essere attributo al fatto che prima di Flamanville l’ultimo reattore realizzato in Francia era stato terminato nel 1999 e quindi si erano perse le competenze tra i lavoratori. Immaginiamo solo vagamente che cosa sarebbe potuto succedere in Italia, ove non si costruisce una reattore dagli anni ‘80.
Anche grazie al referendum, sono stati recuperati i 613 milioni di soldi pubblici italiani e il nostro paese ha evitato di imbarcarsi in un programma problematico come l’Epr, che ha causato analoghi ritardi e incrementi di costi anche in Finlandia e Gran Bretagna. Sicuramente, l’incidente di Fukushima di pochi mesi prima ha contribuito a spostare l’opinione pubblica verso il no al nucleare, ma con il senno di poi è stata una decisione vantaggiosa per l’Italia.
Ho recentemente scritto un articolo per il blog di Beppe Grillo in cui ho descritto questi aspetti e che ha generato più di una reazione a catena tra i fan più accaniti del nucleare.
Battersi per il ritorno del nucleare in Italia può essere una gallina dalle uova d’oro dal punto di vista della visibilità e del ritorno politico, perché tanto è una battaglia che non si può vincere, come per certi versi lo può essere anche il no ideologico al nucleare esagerando le paure delle persone.
Si tratta semplicemente di una tecnologia che in Italia vedrebbe più costi che benefici, almeno con gli attuali reattori di terza generazione.
Che cosa dovrebbe invece dire una politica seria e responsabile? Piuttosto che invocare un’improbabile decarbonizzazione tramite il nucleare, dovrebbe spiegare che il cambiamento climatico è solo un sintomo di consumi oramai insostenibili, anche perché ci sono dei limiti planetari alla disponibilità di materiali. Che l’1% della popolazione più ricca del pianeta è responsabile del 23% delle emissioni di CO2, più del doppio del 50% meno ricco, il quale produce solo il 10% dell’anidride carbonica immessa ogni anno nell’atmosfera. E che quindi, se vogliamo salvare il pianeta, dovremmo intervenire con la leva fiscale proprio sui consumi (e quindi indirettamente delle emissioni) dei più ricchi, senza la necessità di frenare più di tanto lo sviluppo dei meno ricchi. È assurdo avviare una folle rincorsa alla produzione sempre maggiore di energia che in ogni caso non potremmo ottenere. Dare “più energia” senza una razionalizzazione dei consumi significa comportarsi come lo spacciatore che al cliente fornisce quantitativi ogni volta maggiori della sostanza di cui è dipendente. Non può essere un modello nemmeno lontanamente sostenibile.
Sarà mai possibile avere un dibattito sereno in Italia senza citare Chernobyl e Fukushima e senza propaganda degli estremisti pro-nucleare?