Le intercettazioni sono il principale strumento di ricerca della prova nelle indagini del processo penale. Quando divengono oggetto del diritto-dovere di informazione spesso accade che mettano a nudo il potere. O meglio, coloro che ne sono in qualche modo i detentori. Intercettazioni e diritto di cronaca sono da decenni temi caldi della discussione politica che, tuttavia, non infiamma certo i cittadini normali per il semplice fatto che non se ne sentono coinvolti.
Tutti sanno, invero, che sono indispensabili per arrivare alla verità e assicurare i colpevoli di gravi reati alla giustizia. Le temono, pertanto, criminalità e potere per motivi diversi. La prima vorrebbe non esistessero o, quantomeno, fossero ridotte al lumicino. Il secondo che rimanessero segrete per non perdere consenso con l’accidentale rivelazione di particolari imbarazzanti della vita privata di coloro che lo esercitano sui cittadini.
La storia recente di questo Paese ha visto numerosi momenti di accesa polemica sul tema delle intercettazioni. Per primi i governi Berlusconi che hanno tentato invano di vietarne, in un qualche modo, la pubblicazione suscitando lo sdegno dell’opinione pubblica a seguito della rivolta di tutta la libera stampa. La Costituzione, evocata in modo sentitamente unanime, ha fatto da scudo alla tutela della libertà di informazione.
Ma il ‘problema’ non è stato mai abbandonato. Le intercettazioni fanno sempre paura al potere. E anche la magistratura, nell’esercizio della sua attività giudiziaria, è espressione di un potere dello Stato che, sempre, deve essere indipendente da quello della politica. O almeno così dovrebbe. Accade così che proprio la magistratura, che sempre ha difeso intercettazioni e libertà di stampa, ha perso forza in occasione di alcuni drammatici scandali che ne hanno messo in crisi credibilità e funzione. Ecco quindi che viene partorita la cosiddetta ‘Riforma Orlando’ attualmente in vigore.
Un argine alla pubblicazione delle intercettazioni particolarmente scomode per il potere. Siccome, si dice, sono gli avvocati a darle ai giornalisti allora non le diamo più agli avvocati. Diamo loro solo quelle strettamente rilevanti. E chi lo decide quali sono? La Polizia giudiziaria, che è l’unica che effettivamente le sente tutte perché le fa materialmente. Al giudice arrivano solo queste filtrate da Polizia e Carabinieri. Gli avvocati, si dirà, possono ascoltare le altre senza poter farne copia alla presenza di un poliziotto. Cosa che è, per un insieme di cose, materialmente impossibile. Nemmeno il Pm le conoscerà veramente. Tantomeno il giudice. Il tutto con buona pace del diritto di difesa costituzionalmente garantito.
Ecco come, oggi, ci ritroviamo, ancora, al centro del dibattito politico le tanto vituperate intercettazioni attraverso i proclami del ministro magistrato Carlo Nordio. I cittadini sfiancati da una crisi sociale, sanitaria ed economica di cui non hanno memoria di precedenti analoghi, e con la guerra alle porte, vi assistono inconsapevolmente impotenti. “Vanno abolite tranne poche eccezioni. Anzi no. Vanno fatte solo per i reati di mafia”. “Non vanno pubblicate pena il carcere”. “Anzi no solo quelle cosiddette non attinenti all’indagine”. Slogan che sono del tutto avulsi da qualsiasi seria analisi logico giuridica dei fenomeni criminali.
Qualche commentatore si spinge a lodare proprio quella riforma Orlando che avrebbe già risolto ogni problema in modo più che dignitoso. Inorridisco e vi racconto una delle numerose vicende di vita vissuta di cittadini che hanno avuto la propria vita appesa proprio al filo delle intercettazioni. Una normale vicenda di cosiddetta malagiustizia, come io amo definirla.
La dott.ssa Raffaella D’Atri (non è nome di fantasia), nel 2014 è stimatissima direttrice dell’Ispettorato del Lavoro di Rimini. Collabora fianco a fianco con le Procura nella lotta al lavoro nero e all’evasione contributiva. Ha a sua disposizione ispettori e carabinieri. Viene incaricata di reggere, temporaneamente, la sede di Ravenna che è vacante. Vi si deve recare per gli affari urgenti una o due volte alla settimana. Riceve una lettera anonima che denuncia fatti di corruzione che si verificherebbero proprio in quell’ufficio di Ravenna.
Parte l’inchiesta della Procura con uso di intercettazioni telefoniche e ambientali anche con video riprese. Vengono riscontrati fenomeni di piccola corruzione, ma viene scoperto anche il fenomeno dei cosiddetti furbetti del cartellino con tanto di video riprese. A fine 2015 arresti e risultanze investigative occupano le cronache giornalistiche anche nazionali e televisive.
Le indagini sono oramai chiuse quando, inopinatamente, il 18 febbraio del 2016 le locandine e le televisioni danno notizia di una clamorosa perquisizione eseguita nella sua casa di Rimini proprio alla dott.essa D’Atri con sequestri di computer tablet e cellulari anche personali. Due funzionarie di Ravenna l’avrebbero accusata di essere connivente ai reati commessi dai suoi sottoposti per esserne stata perfettamente a conoscenza senza intervenire come sarebbe stato suo dovere. L’onda di un’infamante pubblica accusa che viene seguita dal pedissequo procedimento disciplinare da parte del ministero del Lavoro.
È estate quando la incontro ovviamente disperata. L’udienza preliminare incombe. Ho il fascicolo del Pm e noto che, nonostante non siano indicate come prova a suo carico, è stata eseguita una mole importante di intercettazioni telefoniche e ambientali con tanto di filmati. Strano. Come è mio costume io ne voglio copia di tutte. Allora mi era consentito perché il buon Orlando non era ancora intervenuto con la sua magnifica riforma per impedirmelo. Incontro, tuttavia, notevoli e inusuali (all’epoca) difficoltà. Ma alla fine riesco ad averle. Il problema è il tempo necessario per ascoltarle tutte. Tantissimo. Ci dividiamo il lavoro tra me, il mio studio e la stessa dott.ssa che vi si dedica giorno e notte.
L’esito? Con grande sconcerto non solo non emerge nulla a carico della D’Atri ma, anzi, si percepiscono chiarissime le voci di coloro che, coinvolti nell’inchiesta e coimputati, parlando tra loro esprimendo tutto il loro astio nei suoi confronti e la propria rabbia per la sua presenza in ufficio in quei pochi giorni in cui essa era prevista perché, di conseguenza, non avrebbero potuto fare ciò che illecitamente facevano quando la direttrice era in ufficio a Rimini e, quindi, non poteva essere lì.
All’udienza preliminare si è pure costituita l’avvocatura di Stato per chiedere i danni alla D’Atri e il Pm ne ha pure chiesto la condanna. Scontata l’assoluzione piena della dott.ssa Raffaella D’Atri. Oggi, con la riforma Orlando, non avrei mai potuto conoscere quelle intercettazioni. Qual è la morale?
Chi deve avere paura delle intercettazioni? La D’Atri, innocente, si è salvata grazie a loro. Non le era stata risparmiata, però, tutta la pesantissima gogna mediatica creata non certo ‘dagli avvocati’.
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Il Fatto Quotidiano ha promosso una petizione perché il ministro Nordio si dimetta: qui per sottoscriverla
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