È piacevole vivere nelle campagne del Minas Gerais (miniere generali), in mezzo a prati verdi dove pascolano i bufali sotto lo sguardo disinvolto dei tucani. Solo che, in questo Stato del sud-est del Brasile, terzo produttore mondiale di ferro, a volte camminiamo senza saperlo su una diga di rifiuti minerari. Prendendo la forma di una collina artificiale, queste dighe accumulano fanghi pieni di prodotti tossici provenienti dalle vicine miniere.

Niente di molto diverso dai cumuli di scorie nelle vecchie città miniere europee, direste? Sì, perché oggi esistono tecniche molto più ecologiche che processano a secco questi fanghi per ridurne l’impatto ambientale e renderli più stabili. Ma in un paese come il Brasile, dove la legislazione non è all’altezza delle sfide economiche dell’esportazione di materie prime, la multinazionale brasiliana Vale non si pone questo tipo di domande: sono quelli che lottano per difendere le vittime che gliele pongono.

Il 5 novembre 2015, a Bento Rodrigues (Mariana), cede la diga dei rifiuti minerari della miniera di Fundão, riversando 40 milioni di m³ di fanghi tossici nel vicino fiume Rio Doce. Risultato: 19 morti e un fiume lungo 750 km contaminato fino all’oceano. Poi ancora, il 25 gennaio 2019 a Brumadinho, la diga di Corrego do Feijão lascia fuggire 12 milioni di m³, questa volta uccidendo 270 persone. Oggi sono 4 anni.

Oltre alla violenza del fango che ha distrutto case, strade e ponti, i danni maggiori si riscontrano nell’inquinamento delle acque da prodotti tossici come l’arsenico, il piombo o il mercurio utilizzati dall’industria mineraria. Nel sangue dei residenti locali si riscontrano livelli troppo alti di questi minerali, oltre a un aumento delle infezioni della pelle e dei problemi respiratori. Ne risente l’intero settore della pesca, dell’agricoltura, soprattutto dei piccoli produttori, e del turismo. Per non parlare della distruzione di decine di comunità indigene per le quali il fiume è una divinità al centro della vita quotidiana. Il Mab, Movimento vittime delle dighe, il principale movimento attivo sul territorio, stima in 1.350.000 il numero totale delle vittime.

Impossibile quantificare l’impatto di un tale disastro umano e ambientale. È il più grande del suo genere e purtroppo il primo di una serie di disastri già annunciati: ci sono 700 dighe di rifiuti minerari nel solo Minas Gerais, 31 delle quali sono in allerta massima e possono rompersi in qualsiasi momento. Una vera e propria bomba ad orologeria che svela la violenza del capitalismo predatore per il quale 1 kg di minerale vale più di una vita umana.

Tragedia o crimine annunciato?

Molte persone hanno acceso candele per le vittime di questa “tragedia”. Molto meno numerose sono state le voci che hanno denunciato il “crimine premeditato”, come un grave errore politico che poteva essere evitato. Perché 7 anni dopo Mariana, non è ancora stato richiesto nessun anno di carcere e nessuna casa è stata ancora ricostruita.

In ballo ci sono una serie di illeciti debitamente documentati, che rivelano cosa accade quando gli interessi del capitale parlano troppo forte e dettano le priorità della collettività. È tutta una catena di decisioni controllate da Vale per rendersi intoccabile e indispensabile: dagli incontri segreti con il governo per la concessione delle autorizzazioni all’installazione di tali apparecchiature, al finanziamento delle campagne elettorali di sei deputati membri della commissione d’inchiesta parlamentare incaricata di giudicare i fatti. Milioni che avrebbero potuto essere utilizzati per rafforzare la sicurezza delle sue miniere e per trattare i suoi rifiuti minerari in modo più sostenibile.

E se il processo contro l’ecocidio e il crimine sociale di Vale rallenta, è proprio perché l’elenco dei responsabili è decisamente troppo lungo.

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