“Per favore, le omelie sono un disastro. A volte io sento qualcuno: ‘Sì, sono andato a messa in quella parrocchia. Sì, una buona lezione di filosofia, 40, 45 minuti’. Otto, dieci: non di più! E sempre un pensiero, un affetto e un’immagine. La gente si porti qualcosa a casa. Nell’Evangelii gaudium ho voluto sottolineare questo. E l’ho detto tante volte, perché è una cosa che non finiamo di capire: l’omelia non è una conferenza. E’ un sacramentale. I luterani dicono che un sacramento è un sacramentale – credo che siano i luterani –; è un sacramentale, non è una conferenza. La si prepara in preghiera, la si prepara con spirito apostolico. Per favore, le omelie, che sono un disastro, in genere”.
Hanno riscosso numeroso successo, soprattutto sui social, queste parole di Papa Francesco ai partecipanti al corso “Vivere in pienezza l’azione liturgica” ricevuti in udienza in Vaticano. Un tema, quello delle omelie, molto caro a Bergoglio che vi è tornato tante volte nel corso dei suoi primi dieci anni di pontificato. Lo aveva fatto, per esempio, nell’omelia della messa durante la quale ordinò vescovo Angelo De Donatis, attualmente cardinale vicario del Papa per la diocesi di Roma.
“Annunzia la parola – disse Francesco in quella celebrazione rivolgendosi direttamente al nuovo presule – in ogni occasione opportuna e alle volte non opportuna; ammonisci, rimprovera, ma sempre con dolcezza; esorta con ogni magnanimità e dottrina. Le tue parole siano semplici, che tutti capiscano, che non siano lunghe omelie. Mi permetto di dirti: ricordati di tuo papà, quando era tanto felice di avere trovato vicino al paese un’altra parrocchia dove si celebrava la messa senza l’omelia! Le omelie siano proprio la trasmissione della grazia di Dio: semplici, che tutti capiscano e tutti abbiano la voglia di diventare migliori”.
Proprio a questo tema, il Papa ha dedicato un’ampia parte del documento programmatico del suo pontificato, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium offrendo a diaconi, sacerdoti, vescovi e cardinali consigli pratici da mettere in atto facilmente: “Una buona omelia, come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’”. Spesso, purtroppo, le omelie non sono solo pallose o completamente fuori traccia, ma perfino eretiche perché vengono presentate idee e convinzioni dell’autore per nulla in linea con la dottrina della Chiesa cattolica.
L’allarme lanciato più volte da Francesco è abbastanza indicativo proprio di questo “disastro”. “Solo per esemplificare, – ha spiegato Bergoglio – ricordiamo alcuni strumenti pratici, che possono arricchire una predicazione e renderla più attraente. Uno degli sforzi più necessari è imparare a usare immagini nella predicazione. Vale a dire a parlare con immagini. A volte si utilizzano esempi per rendere più comprensibile qualcosa che si intende spiegare. Però quegli esempi spesso si rivolgono solo al ragionamento; le immagini, invece, aiutano ad apprezzare e accettare il messaggio che si vuole trasmettere. Un’immagine attraente fa sì che il messaggio venga sentito come qualcosa di familiare vicino, possibile, legato alla propria vita. Un’immagine ben riuscita può portare a gustare il messaggio che si desidera trasmettere: risveglia un desiderio e motiva la volontà nella direzione del Vangelo”.
Francesco, inoltre, ha ricordato che già san Paolo VI diceva che i fedeli “si attendono molto da questa predicazione e ne ricavano frutto purché essa sia semplice, chiara, diretta, adatta”. Bergoglio ha aggiunto che “la semplicità ha a che vedere con il linguaggio utilizzato. Dev’essere il linguaggio che i destinatari comprendono per non correre il rischio di parlare a vuoto. Frequentemente accade che i predicatori si servono di parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio comune delle persone che li ascoltano.
Ci sono parole proprie della teologia o della catechesi il cui significato non è comprensibile per la maggioranza dei cristiani. Il rischio maggiore per un predicatore è abituarsi al proprio linguaggio e pensare che tutti gli altri lo usino e lo comprendano spontaneamente. Se si vuole adattarsi al linguaggio degli altri per poter arrivare a essi con la parola, si deve ascoltare molto, bisogna condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione. La semplicità e la chiarezza sono due cose diverse. Il linguaggio può essere molto semplice, ma la predica può essere poco chiara. Può risultare incomprensibile per il suo disordine, per mancanza di logica, o perché tratta contemporaneamente diversi temi. Pertanto un altro compito necessario è fare in modo che la predicazione abbia unità tematica, un ordine chiaro e connessione tra le frasi, in modo che le persone possano seguire facilmente il predicatore e cogliere la logica di quello che dice”.
Il Papa, infine, ha sottolineato che un’altra “caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare, ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro e non ci lascia prigionieri della negatività. Che buona cosa che sacerdoti, diaconi e laici si riuniscano periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione”.