La scelta occidentale di inviare carri armati di ultima generazione in Ucraina non ha alcuna rilevanza militare, ma un grande significato politico: rappresenta un altro passo nel coinvolgimento diretto della Nato nella guerra e quindi nell’aprire la strada alla terza guerra mondiale senza che le opinioni pubbliche europee se ne accorgano. Vediamo perché.
Innanzitutto i numeri. Per cosa sono riuscito a capire si parla, ad oggi, di un paio di centinaia di carri armati che non arriverebbero tutti insieme, ma a tranche nel corso del 2023. Per avere un termine di paragone, dalle statistiche che si riescono a trovare, si capisce che indicativamente, in questa fase del conflitto, ogni giorno vengono distrutti, in media, in combattimento una decina di carri armati sulla parte ucraina. 200 carri armati durano quindi una ventina di giorni. Non è certo un elemento decisivo.
In secondo luogo la qualità. Non stiamo parlando di armi segrete, ma di carri armati Abrams e Leopard in produzione da anni, di cui sono note le caratteristiche e le potenzialità, tecnologicamente simili, ai modelli russi degli ultimi 20 anni.
Il punto non è quindi militare in senso stretto. Il punto è politico: questi carri armati sono tecnologicamente diversi dai vecchi carri armati concepiti nella seconda guerra mondiale e variamente riammodernati che sono stati sin qui impegnati in Ucraina. Per usare questi carri armati serve preparazione. Non bastano alcune settimane di corso di formazione. Il punto è quindi che l’invio di materiale, sempre più sofisticato da parte dei paesi Nato in Ucraina, per le quantità in cui viene inviato non è in grado di sovvertire le sorti del conflitto, ma è in grado di determinare un maggiore coinvolgimento di personale direttamente nelle operazioni di guerra.
Già oggi il lancio dei missili del sistema Himars sarebbe impensabile senza l’intervento delle tecnologie e del personale Nato (coordinate, scelta obiettivi, etc.). La stessa cosa avverrà in forma allargata con i carri armati. In secondo luogo si inizia con qualche centinaio di carri armati e con missili di corto raggio e poi, se la guerra prosegue, con la stessa logica si forniranno missili a più lunga gittata, più carri armati e così via. Si chiama escalation e la si è già vista in Vietnam.
I carri armati tedeschi, francesi e statunitensi non avranno quindi effetti devastanti sul campo di battaglia, ma sul terreno geopolitico. Rappresentano uno strumento con cui – poco per volta – i paesi europei vengono trascinati dal governo statunitense e da Volodymyr Zelensky in una guerra diretta con la Russia. Una guerra diretta che non può sfociare in altro che in un conflitto generalizzato di cui l’Europa sarebbe il primo campo di battaglia. Si tratta di una prospettiva delirante che oltre all’attitudine guerrafondaia di Joe Biden e Zelensky sottolinea l’ignavia totale delle classi dirigenti europee, dal cancellare tedesco – che riesce al massimo a resistere qualche ora alle pressioni degli Stati Uniti – per arrivare a Giorgia Meloni, dai socialdemocratici ai postfascisti.
Per questo una volta in più si tratta di dire che l’unica prospettiva realistica è l’apertura di una trattativa che cerchi la pace e la sicurezza per tutti i popoli coinvolti nel conflitto. Per questo è evidente una volta in più che la guerra in Ucraina non può essere vinta da nessuno, ma solo fermata. Prima che sia troppo tardi.