Incidenti di percorso, di Paco Inclán (traduzione di Marino Magliani; Arkadia Editore), è uno straordinario esempio di letteratura imprevedibile che, apparentemente, potrebbe essere letto come una semplice raccolta di reportage di viaggio, ma quelli che risultano inediti e affascinanti sono le destinazioni (i margini dell’Europa, dell’America e il Cuore di tenebra della Guinea Equatoriale) e le motivazioni dell’errare (un’intervista, in un bar dei sobborghi di Madrid, al ridicolizzato e dimenticato autore di un inno spagnolo mai adottato; la ricerca, a Braga, del poco famoso braccio destro di San Vincenzo; questioni ideologiche in una contea dell’Irlanda del Nord viste attraverso una partita di calcio gaelico; conciliaboli su Jules Verne tra gli iscritti a una chat di incontri che si palesano a Formentera; un provetto Kurtz autoisolatosi in un villaggio guineano; l’importanza dei rutti nella cultura nordafricana; il bighellonare nei pressi di Vigo alla ricerca del senso della psicogeografia).
L’autore valenciano è votato a essere un fugueur che, rispetto al più compassato flâneur, è un nomade con il gusto dell’imprecazione, un osservatore che individua nella pazzia un corso di sopravvivenza psichico.
Leggendo Incidenti di percorso è come se l’investigazione di Paco Inclán passasse in secondo piano per dare voce all’imprevedibile, all’assurdo e all’originalità. Un libro strano e intelligente, capace di dare centralità ai margini geografici e a una visione antropologica dell’umanità che quasi mai ha avuto la possibilità di usufruire dei quindici minuti di celebrità predetti da Andy Warhol.
Isole dell’abbandono. Vita nel paesaggio post-umano, di Cal Flyn (traduzione di Ilaria Oddenino; Edizioni di Atlantide), è un vero capolavoro tra i reportage contemporanei. L’autrice scozzese esplora dodici luoghi dislocati in diverse aree del mondo, accomunati dal concetto di abbandono e conseguente riconquista della natura. Il risultato è un mosaico di psicologia dello spazio capace di far riflettere il lettore.
Gli aspetti tristi e melanconici che potrebbero emergere dalle descrizioni di luoghi ormai disertati dall’essere umano vengono invece tenuti in secondo piano per dare spazio alla speranza e alla vitalità. È un cambio di prospettiva di chi documenta. Un cambio che permette a chiunque si imbatta in Isole dell’abbandono di avere indizi inediti per scoprire la bellezza e il valore dietro ciò che spesso viene considerato brutto e inutile.
I luoghi scelti sono diversi tra loro per storia, cultura e clima, così come è diversa la modalità di abbandono e la tecnica di riconquista della natura. La Chernobyl post-nucleare, le montagne della Tanzania, le sperdute isole scozzesi, i sobborghi industriali di Detroit, i fantasmi di Verdun e le regioni minerarie britanniche diventano topografia degli errori umani e permettono allo spirito voyeuristico del lettore di trovare compiacimento nelle rovine e nelle piante che emergono tra le crepe del cemento.