Si moltiplicano di giorno in giorno le critiche al testo del nuovo Codice appalti, scritto dal Consiglio di Stato ma modificato in extremis in diversi punti per accontentare il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e i sindaci riuniti nell’Anci. Giovedì sono stati auditi sul testo nella Commissione Ambiente della Camera i rappresentanti di costruttori e società di ingegneria e il presidente dell’Anac Giuseppe Busia, che ha ribadito le richieste di modificare i limiti per gli affidamenti diretti, la soglia sotto la quale gli affidamenti continueranno ad essere fatti anche dalle stazioni appaltanti non qualificate, le norme sul conflitto di interessi (su cui ravvisa una violazione della normativa europea in materia) e la soppressione del registro dell’in-house gestito dall’authority.

La presidente dell’Ance, Federica Brancaccio, dal canto suo ha rilevato che “il nuovo Codice sconta un errore di metodo, che è forse all’origine della contraddizione tra principi annunciati e norme di attuazione: è stato redatto senza un adeguato confronto con chi con questo Codice deve lavorare. Impostazione che è stata alla base del fallimento del Codice 50 e che quindi non può né deve ripetersi”. Il risultato? Il primo problema è “di mercato”, ha spiegato, perché il nuovo Codice “consentirà ad un’ampia quota di appalti di non essere più sottoposti alle regole di piena pubblicità e concorrenza“. Questo varrà per tutta la fascia di appalti fino alla soglia comunitaria (vale a dire, per i lavori pubblici, fino a 5,3 milioni di euro), su cui gli enti locali agiranno attraverso procedure di affidamento diretto senza gara, al massimo “invitando” un certo numero di operatori da loro scelti a fare un’offerta.

Di fatto il Codice “sta optando per rendere stabili le procedure emergenziali introdotte con il decreto Semplificazione”, ha ricordato Brancaccio, “rendendo possibile utilizzare le procedure ordinarie solo sopra 1 milione di euro e solo se tale scelta venga accompagnata da adeguata motivazione. Si tratta però di una soglia eccessivamente elevata che rischia di azzerare il mercato e che è in contraddizione con il principio di concorrenza e trasparenza“.

Giorgio Lupoi, presidente dell’Associazione delle società di ingegneria e architettura (Oice) ha aggiunto che con l’innalzamento della soglia per gli affidamenti diretti da 75mila a 139mila euro, prevista dal decreto Semplificazioni del 2020 e poi sempre prorogata, “il numero delle gare si è ridotto del 33% in numero e del 30% in valore”. Busia ha fornito un altro dato: portare a 500mila euro il valore degli affidamenti oltre il quale serve la qualificazione “comporta aumento del 65% delle gare svolte da soggetti non qualificati e il 90% degli affidamenti rimarrebbero affidati a soggetti che non necessariamente sanno comprare. Questo costa al sistema Paese in termini di rapidità ed efficienza della spesa pubblica”. Quel tetto va abbassato, o almeno “si può prevedere che la soglia si applichi solo all’inizio e poi venga abbassata”.

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