Dopo il caso del neonato morto al Pertini, decine di mamme hanno raccontato al fatto.it la loro esperienza di parto e degenza, facendo emergere situazioni in cui è mancata un'adeguata assistenza, sia fisica che psicologica. "Mi strizzavano il seno senza preavviso". "Se chiedevo aiuto mi sembrava di essere una rompiscatole". Ecco le loro storie
Valanghe di storie online, di esperienze di parto ricordate con sofferenza perché il dolore e le necessità del momento non sono stati considerati da chi avrebbe dovuto occuparsene. La tragedia del neonato morto al Pertini ha generato una moltitudine di reazioni sui social, con centinaia di racconti più o meno recenti delle mamme che ricordano cosa, in ambito ospedaliero, sarebbe dovuto andare diversamente per tutelare la madre, fisicamente e psicologicamente. Dalla necessità di essere ascoltate e aiutate, fino alle pressioni sull’allattamento, come se la madre non si impegnasse abbastanza. Ilfattoquotidiano.it ha raccolto le esperienze di chi ha voluto portare alla luce il proprio vissuto. Abbiamo scelto di selezionare gli estratti che riguardano i giorni di degenza e non l’esperienza in sé del parto, su cui le valutazioni sono di carattere medico-sanitario. Se volete condividere la vostra storia, scriveteci a redazioneweb@ilfattoquotidiano.it.
“A parto avvenuto ho scoperto che la donna è solo un’incubatrice”
Paradossalmente, a parto avvenuto, ho realizzato che per le strutture ospedaliere italiane e per gli operatori sanitari una donna gravida è solo un’incubatrice. Posso dire questo perché durante la gravidanza ho avuto alcuni problemi di salute che mi hanno portata a due ricoveri. Durante questi periodi sono stata trattata quasi sempre con tutti i riguardi, sono stata curata e monitorata con costanza, sono stata rassicurata. Da qui l’erronea convinzione che le mamme fossero importanti quanto i figli. Al momento del parto, però, ho scoperto la verità. Tutte quelle attenzioni precedenti mi erano state riservate “solo” in quanto “custode” di una nuova vita, e non anche come essere umano indipendente e meritevole di rispetto e dignità. In primo luogo, non avevo il diritto di sentirmi sfinita e di riposare, a maggior ragione perché avevo avuto un parto naturale (come se fosse una passeggiata di salute e le giornate di travaglio non contassero minimamente – Giuliana
“Mi obbligavano a spogliarmi per attaccare contemporaneamente al seno le mie due gemelle. Mi sono vergognata tantissimo”
Ho partorito con cesareo programmato le mie gemelle il 5 maggio 2020. La sera stessa volevano togliermi il catetere. Ho rifiutato. Me l’hanno tolto la mattina alle 6. Mio marito era l’unico che poteva accedere per via delle restrizioni covid. Di notte ero sola con due gemelle che non si attaccavano al seno. Le infermiere mi davano poco latte artificiale, le bambine avevano fame e hanno perso parecchio peso. Mi obbligavano a spogliarmi per attaccarle contemporaneamente al seno, mentre il compagno della mia vicina di letto entrava ed usciva dalla stanza. Mi sono vergognata tantissimo. Non vedevo l’ora di tornare a casa. È stata un’esperienza terribile. Confermo che tutti mi chiamavano mamma giudicandomi che non riuscivo ad allattare. Se tornassi indietro non permetterei di farmi trattare in quel modo ma è stata la mia prima esperienza ed ero completamente sola. Solidarietà a tutte le donne lasciate sole dopo aver messo al mondo il proprio bambino – Emanuela
“Se una mamma ha bisogno di riposare non è abbastanza forte”
Sono diventata mamma a luglio, dopo lunghe ore di travaglio con acque rotte. Avevo passato due giorni a non dormire e il parto è stato pure di notte, per cui ero distrutta. Il giorno dopo tutti si aspettavano che fossi vigile, pronta a rispondere alle chiamate di auguri, tutti a dispensare consigli sull’allattamento e su come cambiare il bambino, anche persone senza figli. Se cercavi qualcuno di qualificato in reparto per aiutarti ad attaccare il piccolo non c’era nessuno perché manca personale. Per cui i giorni a seguire sono stati ancora più dolorosi, mastite, massaggi, acqua calda, dolore atroce solo al tatto e allo stesso tempo pianti del bambino, cambio pannolino e attaccarlo spesso e nessuno che dicesse: hai bisogno di riposare mezz’ora. Perché se una mamma ha bisogno di riposare non è abbastanza forte. Ringrazio mio marito e le persone che mi vogliono bene che mi hanno supportato psicologicamente, senza di loro non sarei quella che sono ora, come donna e come mamma – Rita
“L’ingrediente per una maternità funzionale è la serenità”
Mia figlia è nata in agosto 2020, con le restrizioni covid. Mi sono salvata dallo schiacciarla per la stanchezza, perché ero talmente terrorizzata che potesse accadere che avevo sempre grande premura di rimetterla nella culla. Nessuno ti dice che l’ingrediente più importante per allattare e per far stare bene mamma e figli è l’ossitocina! Ma noi secerniamo questo ormone solo se siamo sereni. Ho dovuto insistere per avere il latte artificiale e per uscire dall’ospedale perché volevo la mia famiglia vicina. La notte prima di uscire ero felice ed è arrivato pure il latte in abbondanza! Grazie anche all’aiuto del paracapezzoli, salvezza dal dolore. Ho allattato senza bisogno di aggiunte fino allo svezzamento. Ma l’ho dovuto capire da sola, insistendo, che l’ingrediente principale per una maternità funzionale è la serenità. Se la mamma non è serena, non starà bene nemmeno il neonato. Se ripenso a tutto quello che ho passato, ho il terrore di fare un secondo figlio. Ci vogliono madri, ma senza darci gli strumenti per esserlo – G.
“Non sapevo cosa fare”
Partorisco, velocemente, ad agosto 2020. Poi l’oblio: torno in stanza da sola con la bambina dopo tutta la notte tra travaglio e parto e cavoli miei. Non è mai venuto nessuno a chiedermi se avevo bisogno di qualcosa, passavano per la visita una volta al giorno e se avevo bisogno potevo chiamare il nido dal mio cellulare e cercavano di darmi una mano dal telefono, se no saliva l’infermiera, mi aiutava ad attaccare la bambina che ovviamente con lei si attaccava ma poi andava via ed io ero punto e a capo, in prenda agli ormoni piangevo dalla mattina alla sera. Mi sentivo abbandonata e non sapevo cosa fare. Alle 18.30 arrivava il papà che mi ricaricava di amore per affrontare la notte e il giorno successivo. Una misera ora. Il terzo giorno mi hanno dimessa per fortuna e sono andata a casa mia. Ho sempre detto che se quella fosse stata la prima esperienza non ne avrei fatti altri di figli. Devono tornare a far entrare gli accompagnatori, le nonne, i figli che aspettano la mamma a casa.
“Con la pandemia neomamme private del supporto dei loro compagni”
Da neo padre e compagno, la mia esperienza è da spettatore esterno, da chi non può rendersi veramente conto di ciò che si prova, ma ha occhi per vedere e orecchie per sentire. Vedere il coraggio e la forza di una donna che mette al mondo un figlio, dello sforzo enorme che è chiamata a compiere e dell’infinità dell’amore che questo gesto porta con sé. Eppure ogni volta che mi chiedono dell’emozione provata durante il parto a cui ho assistito il mio pensiero va al dolore provato dalla mia compagna, la madre di mio figlio. Va alla freddezza delle persone che c’erano vicine, all’assenza di aiuto, di empatia di compassione verso questo dolore. Non si fa altro che parlare di rispetto per la donna, ma si dimentica di rispettare le donne nel momento principe dell’essere donna. A questo poi aggiungiamoci che in questo periodo di ormai quasi finta pandemia, dove si ammettono medici no vax in ospedale, si privano le madri del supporto dei loro compagni nei giorni dopo il parto. Relegando a questi solo due ore al giorno di visita nei momenti del cosiddetto “passo”. Non posso permettermi di esprimermi per quello che è l’esperienza di una donna partoriente. Ma da compagno, padre, uomo, fiero cittadino di questa bellissima nazione devo dire che questo sistema “azienda” sanitario non è degno di quello che la nostra società moderna e civile vuole essere – Samuele
“Al secondo parto ho avuto la padronanza per dire no”
Il mio parto è stato un po’ lungo ma non estremamente doloroso. Nasce la bimba e arriva la notte. Mio marito fa appena in tempo ad accompagnarmi in camera e poi viene spedito a casa. Da quel momento lo choc: l’infermiera che ci accompagna mi fa vedere dov’è il fasciatoio, dove sono i pannolini e poi via. “Ma scusa, non mi fai vedere come si fa? Io non ho mai cambiato un bambino”, le chiedo. E lei mi risponde: “Vedrai che stanotte impari!”. Non ho mai capito se fosse o meno una battuta, ma in effetti ho imparato. Giulia all’ospedale non ha mai dormito se non una ventina di minuti per volta, io ero stremata, quando alla mattina ho visto mia madre arrivare (periodo pre-covid, potevano venire i parenti anche alla mattina) per poco piangevo. Le ho chiesto di tenermi la bambina perché avevo ancora addosso la camicia del parto, non ero neanche riuscita ad andare in bagno a lavarmi. Poi il secondo giorno ho la stangata del latte, la bimba continua a piangere disperata e l’ostetrica indaga. Ci accorgiamo che non si attacca bene quindi non mi esce praticamente nulla: per un altro giorno punto la sveglia ogni ora e mezzo per andare alla nursery, tirare quel poco latte che usciva (mezz’ora alla volta di tiralatte) e calcolare poi l’aggiunta, con il senso di colpa che attanaglia tutte le madri che non allattano di essere madri a metà. La mia fortuna è stata avere una bambina dolcissima che, nonostante i primi giorni e trovato il giusto latte artificiale, dopo ha sempre dormito ed è stata bravissima, e un marito che mi ha sempre sostenuto ed aiutato. Per questo abbiamo deciso di avere il secondo e la seconda degenza è stata molto più tranquilla, perché hai più esperienza, più padronanza di quello che ti serve e la sfacciataggine di dire no quando non ti fa piacere! Grazie per avermi ascoltato – Francesca
“Colpevolizzata per il mio dolore in ospedale mentre allattavo. Mi ha salvata il consultorio”
Dopo la nascita, per la quale sono stata ricucita per più di un’ora, ero stremata e dolorante per i punti. Ricordo la prima notte dopo il parto in ospedale come se fosse ieri, non penso che la dimenticherò mai. Ho iniziato a chiamare per chiedere aiuto alle 23 perché il mio piccolo non riusciva ad attaccarsi bene al seno e piangeva, ma non è mai arrivato nessuno fino alle 5 del mattino nonostante io abbia continuato a chiamare per tutta la notte. Faticavo a stare in piedi ed avevo dei dolori lancinanti per i punti, non dormivo da più di 48 ore e mi veniva risposto all’interfono “mamma siete in tante e dovrai aspettare”. 6 ore di attesa, di paura, di rabbia e di abbandono. Una volta arrivati il mattino seguente io mi ritrovavo con le ragadi per l’attacco sbagliato, il seno sanguinante che mi faceva molto male perché avevo cercato tutta notte di dare da mangiare al mio piccolo senza però riuscirci, disperata e devastata. A quel punto mi sono sentita dire “dai su su mamma, devi impegnarti” e ancora “non c’è alcuna controindicazione ad attaccare il bambino anche se hai le ragadi al seno, perciò forza dai!”. Trattata come se non mi impegnassi abbastanza, come se fosse colpa mia. Invano ho cercato di spiegare alle diverse puericultrici che sentivo molto dolore e che secondo me c’era qualcosa che non andava con l’attacco al seno del bambino, ma le risposte sono state “mamma è normale che faccia male, resisti dai” oppure “l’attacco va bene, sei tu che ti devi abituare al dolore, è così e basta”. Insomma, sembrava che il problema fossi io, a non essere abbastanza forte, a non sopportare abbastanza in silenzio. Perché in ospedali come questo vogliono che siamo da subito mamme ad alto contatto ma a basso sostegno. Alla fine, il giorno della dimissione, mi trovavo ancora nella medesima situazione. Il mio piccolo mangiava poco e io avevo il seno sempre più martoriato. Ricordo ancora la chiamata che ho fatto quella mattina al consultorio, disperata in lacrime. Grazie a loro sono riuscita finalmente ad allattare mio figlio e senza dolore – Chiara
“Mi strizzavano il seno senza preavviso, dicendo di non irrigidirmi ‘perché la bambina lo sente’”
Ho partorito nel tardo pomeriggio. Alle 3 di notte mi svegliano perché era arrivata la bambina. Va bene la condivisione della stanza, bellissimo! Ma vi sembra che una donna che ha subito un parto duro e sofferto sia psicologicamente e fisicamente in grado di occuparsi di un neonato? In due giorni che sono rimasta in ospedale mia figlia è rimasta sempre con me, salvo il controllo prima di uscire. Non ho minimamente ricevuto assistenza nell’allattamento, se chiamavo l’ostetrica stava due minuti, provava ad attaccarla lei, strizzandomi il seno neanche fosse una spugna, senza preavviso e, anzi, dicendomi pure di non irrigidirmi “perché la bambina lo sente”. Scusate se fa un male cane, errore mio che provo dolore. Non riuscendo, mi dicevano di riprovare più tardi, l’ultima mi ha consigliato i paracapezzoli perché i miei non andavano bene, erano troppo piccoli. Quando, preoccupata, ho riferito al giro visite che mia figlia non aveva mangiato praticamente nulla dalla nascita, la risposta è stata: ma come? Ci informiamo subito! E vi giuro, le ho sentite ridere in corridoio dicendo “sì, sta bambina campa d’aria”. Ovviamente per quanto ci abbia provato, una volta uscita, non sono riuscita ad allattarla. Fra ragadi, ostruzioni e pianti disperati di Luna, ci ho rinunciato, optando per il latte artificiale. Inutile sottolineare la percezione di tutto il mio fallimento e il conseguente stato emotivo. La mia esperienza è stata un incubo e spero che il tempo e gli occhi meravigliosi di mia figlia, che mi guarda, mi aiutino a dimenticare. Ad oggi, se ci ripenso, ancora mi viene da piangere – Valentina
“Se chiedevo aiuto mi sembrava di essere una rompiscatole”
Non dico di non essere stata assistita. Alle chiamate rispondevano, ai miei dubbi sull’allattamento pure. Ma in certi momenti mi hanno fatto sentire stupida (come se avessi dovuto già sapere cosa fare in caso di ingorgo dei dotti, ecc). Ho la netta impressione, comunque, che la tendenza generale è di sminuire un po’ il dolore fisico della madre (che è enorme dopo un cesareo, come nel mio caso) e concentrarsi solo sulla bimba. Che per carità è giusto, ma con le dovute accortezze anche verso la madre. E infine, ho notato una sorta di durezza verso le donne che per motivi vari non erano riuscite ad avviare bene l’allattamento (pur volendo magari), come se fosse colpa loro. Penso che quello che è successo alla mamma che ha perso il figlio all’ospedale Pertini (quasi sicuramente per essere stata abbandonata a sé stessa senza assistenza) poteva succedere a me, alla mia compagna di stanza, a mia sorella, a mia cugina, alle mie amiche… perché è vero che appena partorisci pensano che sei già madre esperta e che il sesto senso materno prevalga sulle insicurezze, dubbi, stanchezze, piccolo e grandi sbalzi umorali. Mi sono dilungata molto ma è la prima volta che metto nero su bianco tutta la mia esperienza del parto, e mi rendo conto che alla fine è andata bene. Ma non dovrebbe essere fortuna, bensì la normalità – Raffaella